L'ANIMA DEL SEGNO, Hartung Cavalli Strazza,

 

Museo di Villa dei Cedri, Bellinzona ottobre 2016

 

(testo di Loredana Müller)

 

 

 

Parlare di anima del segno, forse ha una complessità in grembo, potremmo sostituire anima con carattere o psiche o ancora meglio tensionesensodirezione e sostenere segno nel senso in cui ogni segno ha valenze autoportanti.

 

Forse potremmo parlare di un' autonomia del segno e nel contempo di una sua grammatica.

 

Ecco un punto che si fa luogo di unione, per i tre artisti che sono riuniti, perché pittori ed incisori, nel contesto espositivo e museale di Villa Dei Cedri a Bellinzona, per dare criterio e costruire assonanze e dissonanze nel loro procedere, e nel contempo nella loro contestualità storica.

 

Cosa si intende per grammatica del segno, equivale alla struttura, al costruire per generare tramite segno, generare visione?

 

Oppure segni come suoni, segni come atti, intense-adesioni, tensioni, necessità e svolgimenti, ritmi e costanti che appartengono al vivere, alle emozioni, alla priorità dell'esprimersi (ciò che preme dentro) e nel contempo dare senso direzione e orientamento, forse etico oltre che estetico, valenze poetiche e non solo formali, metalinguistiche, filosofiche nel porre continue domande.

 

Appartengono al vivere i segni come atto umano e come andamento, scelta continua e verifica della direzione intrapresa. Il motivo del tracciare, come ricerca é comprensione, dialogo tra sé e la comunicazione, ma non necessariamente verbale.

 

Sono moti che toccano la memoria, ricordi e primissime adesioni al proprio vissuto, alle visioni che generano il vedere. Al principio c'era il tatto, il respiro, solo dopo lo sguardo come occhio aperto sul mondo della luce e del buio.

 

E questa stessa comprensione che relazione ha tra il mondo interiore dell'uomo e quello dell'artista? Comprendere, prendere in sé, ciò che si fa gesto, traccia. In che termini diviene segno?

 

Questo in parte il mio centro tematico, ciò che tenterò in modo aperto di strutturare a parole, e tramite alcune immagini solo dopo, per dare seguito alla lettura delsenso d'ogni segno:Premetto brevemente che sono un artista visiva, fortunata anche perché, dei tre artisti presentati, ho avuto il piacere di averne due come docenti, Massimo Cavalli qui a Lugano negli anni '80 e Guido Strazza a Roma fine anni ottanta. Dunque, in tempi diversi, poiché da giovanissima ho intrapreso la mia direzione di studi attorno alle arti, preferendo in seguito pittura ed incisione. Alla CSIA o Centro Scolastico delle Industrie Artistiche a Lugano, e in seguito all'Accademia di Belle Arti di Roma. Non voglio prolungarmi troppo, è stato un periodo tra percorso e a seguire rivelazioni, ricco di complesse entità che preparano l'adulto alla vita e a divenire, a sua volta, docente.

 

 

 

Ho la fortuna di essere in amicizia con entrambi i due artisti citati poc'anzi e di averli sempre un poco frequentati in questi anni. Questo fatto lo perpetuo riconoscendoli amici e maestri, sono all'interno di quel processo che riguarda anche l'insegnamento e che diviene una continua sfida oggi anche per atto di riconoscenza.

 

 

 

Perché sfida: perché oggi incanalare la forza, l'energia, il senso in un segno che è anche fisico, che è anche gesto, è un muoversi appunto dall'interno all'esterno...considerare l'interiorità, un uscire fuori da noi, trasformando il segno in una traccia, e, per chi si muove nell'ambito delle arti visive della mia generazione, sembra non appartenere alla sofisticata tecnologia che ci circonda.

 

Invece è comunque il primo passo per generare conoscenza intorno a una pratica apparentemente "superatalegata al tempo del corpo come a quello della materia.

 

Alla conoscenza come appartenenza totale ed elementare, gli elementi primi, quelli più diretti-vicini alla vita. Oggi l'espressione è divenuta sempre più una faccenda sofisticata e indiretta, ed è questa parola che mi farà ora balzare all'interno di una delle dimensioni di cui parleremo.

 

 

 

Parlare di incisione calcografica vuol dire partire da una matrice di metallo o di pietra per la litografica e di incisione come luogo della tecnica, è accorgersi quanto il mondo dell'incisione è vasto, pensate alla pietra e all'incompatibilità delle sostanze che si adottano, per giungere ai segni che vengono solo dopo registrati e inchiostrati e passati alla carta per ...come dicevo reazioni di incompatibilità... torniamo al metallo che è estratto dalla pietra e alla punta che segna a sua volta... metallica e temperata...diversamente preparata...inizialmente in modo più primitivo sposta o scava...ma poi già avviene lo schiaccio, con gli interventi successivi...ebbene È PARLARE DELLA STORIA DELL'UOMO e della sua evoluzione...

 

 

 

La tecnica più antica d'incisione è quella xilografica, su legno attorno al XIV secolo...e solo nel XV cogliendo strumenti dagli orafi l'incisione su metallo...

 

Per ridurre un poco il campo parlerò di tecniche dirette e indirette, su metallo inizialmente, entrambe entrano in particolare dialogo con la pittura già dal Seicento.

 

 

 

Proprio come per la materia e la conoscenza, oltre che dei materiali e della propria volontà di “incidere“ segnare-strutturare e determinare visione, far essere o far nascere un segno per generare un corpo-visivo è dare costruire la visione.

 

Cosa molto diversa che lavorare con le immagini precostituite, dimensioni di un oggi molto frequente, magari agevolato dall'emulazione della fotografia e dalle immagini che come rumore visivo invadono il nostro immaginario e contribuiscono a una visione superficiale.

 

 

 

Usare registri figurativi sottratti da fotografie o da immagini già elaborate dal computer è diverso che cavare da sé un segno e senso come atto e direzione, ricercando il superamento nel proprio agire, anche nella inevitabile acquisto del dubbio.

 

 

 

Questo anima l'esposizione a Bellinzona, generando un continuo rimando tra i tre autori, mentre l'utilizzo del segno diviene protagonista come gesto, valendo anche come appoggio, viaggio...potremmo ancora suggerire moti di pressione, danze, inarcamenti e dialoghi ritmici diversificati come saltelli sulla superficie e che poi divengono appunto tracce visive.

 

 

 

Un segno tracciato a grafite ha una sua nobiltà e appartenenza che si riscatta nella pressione, ma anche nella grana della carta, velocità o dedizione, oppure una carta svolta a tecnica mista si solve o agisce tra pastelli grassi e inchiostri magri e la loro impermeabilità, tra inchiostri grassi e acquarelli. Qui dovremmo entrare nelle tecniche pittoriche, e improvvisamente renderci conto che segnare, disegnare e dipingere, hanno diverse fasi e gradi di conoscenza che dovrebbero compenetrare, anche conoscenze chimiche, oltre che tra mimesis e concertazione-pensiero...Da non sottovalutare nell'incisione che un poco come la scultura pretende uno svolgimento chiaro e strutturato nel suo attuarsi, e ci aiuta a elaborarne il processo, tra il togliere e il mettere, non sempre possibile. Quanto ci sia di meccanicoo fisico sempre, per intenderla come direbbe Leonardo Da Vinci, vuol dire che chi che abbia in grembo una verità chimica ha già una dimensione analitica.

 

 

 

Ancora è questo ascolto, che è incontro tra l'io e la materia, e qui materia sta per ciò che riteniamo conoscibile...che scioglie e qualifica espressione come essenza primaria, emergenza e accadimento, ricercato, voluto solo dopo averlo riconosciuto.

 

 

 

Ora giustapporrò alcune frasi degli artisti, partendo da Hans Hartung, pittore tedesco, nato a Lipsia nel 1904 e deceduto ad Antibès nel 1989, studi artistici e musicali a Dresda e a Monaco, vicino inizialmente all'espressionismo, ma da sempre attento e attratto dai segni più forti e incisivi in natura.

 

 

 

Uso frequentemente questa parola volutamente incipit-inciso-incisività, incisione perché ci porta a contatto con il passaggio col l'afferrare o meno del visibile... nell'istante, ma anche di quanto in noi generi poi esperienza...e soprattutto appartenenza, orientamento, chiarezza di lettura.

 

Lo stesso Hartung giovanissimo pare avesse un taccuino dove registrava lo zizzagare dei fulmini, per esempio...

 

 

 

Certo poi qualcosa lo travolse: ai cenni già precisi iniziali s'aggiunse il suo essere ferito in guerra, ad una gamba, e questo fece avvenire che aprì le ali-arti-braccia nel suo agire ottenendone un segno in qualche modo indescrivibile, tra sperimentazioni e ampliamento del gesto, con scope, rastrelli e faggine.

 

 

 

L’arte astratta mi pare un movimento particolarmente sano nella storia dellarte. Con essa, dopo un lungo periodo di rilassatezza, si ritrova una tendenza purificatrice, che aveva avuto inizio con Cézanne e che aveva proseguito con il cubismo analitico. La macchia torna ad essere una macchia, il tratto un tratto, la superficie una superficie. Le opere vivono per se stesse, di per se stesse, sbarazzate dalla sottomissione alla figurazione. Il che consente di ricongiungere i poli principali delluomo: l’universo e luomo nelluniverso" (Hans Hartung).

 

Le sue parole sottolineano quanto la dimensione dell'esperienza come atto del proprio agire diviene per questi artisti primaria relazione con il mondo. Quindi credo che se leggessimo i loro segni con questa consapevolezza, certo comprenderemmo perché un Paul Klee diceva che la pittura era rimasta indietro rispetto alla musica. Perché ancora oggi, nelle arti visive, il ruolo della disciplina come ordine, come ordine del fare, come continua esperienza e quindi pratica è desueto. È quel Fare per cogliere e forse capire è certo poi il riconoscere per riconoscersi nei propri contenuti. Quello della pratica ha valenze relative, ma genera il dialogo con la ricerca come modo di affrontare il linguaggio, ed è per questo che diviene spesso la nostra cifra, è dimensione e provocazione che appartiene al linguaggio in se stesso. Quanto questo sia raro e quanto venga negato: per quel che mi riguarda, io stessa ad esempio, per ora, è tramite parole che provo a far passare alcune considerazioni, forse, se avessi una lavagna e del gessetto, molto di quello che penso risulterebbe più immediato.

 

 

 

È PROPRIO QUESTA IMMEDIATEZZA, che non è velocità fine a se stessa, ma esperienza acquisita tramite la pratica, e nel nostro caso del segno, del tratto, del punto, gesti che

 

divengono ed è indubbio divengano pratica del tempo.

 

Certo per raggiungere anche valori timbrici e spaziali, profondità, per generare e comprendere il chiaro o lo scuro....ma accorgendosi che le valenze a volte stanno nell'interstizio, o nell'intenzione, nella tensione, nel teso, intenso, forte, delicato, appena accennato, questi stessi atti agiti hanno valenze primarie, perché direzioni, ritmi, posizioni, e quindi in seguito tagli, orientamenti, sono queste le lettere e non formulano parole, ma come suoni, intensità di accadimento, possibilità di lettura del processo.

 

 

 

Parlare di figurazione è spesso riconoscere l'ancella d'ogni letteratura, certo ci nutriamo con il linguaggio parlato, scritto, esso è primario in ogni cultura per comunicare-raccontare far passare l'accadere...codificato, ma sappiamo quanto comunicare davvero sia faccenda complessa...referente-significante-significato hanno una tensione e una storia e un viaggiare in ognuno di noi molto diverso...Credo che il compito oggi dell'arte sia accorgersi dell'urgenza di mantenere la diversità, come priorità e unica sensibilità aperta, al fine di salvaguardare l'esprimersi come atto autentico primario e individuale oltre che umano, e credo che l'arte sia questa ricerca o almeno a questo dovrebbe sempre tendere.

 

 

 

Senza nulla togliere poi a chi con criteri diversi usa forme linguistiche e critiche, a chi con conoscenze specifiche tra la parola e la storia, come conoscenza storica del territorio, come cultura dell'anima, di ciò che anima, ebbene, quanto siano importanti tali persone, figure di studiosi, per generare riflessioni e contrapposizioni, dibattito e letture a tutto campo.

 

 

 

La dimensione di chi opera con un linguaggio parlato attorno alla dimensione del linguaggio visivo, che accade e sottrae tempo, ed é come strato o operazione tra materia-spazio, ma colta nel silenzio. Ebbene è un dimensione complessa.

 

 

 

Questo mio pormi vorrebbe tentare di tessere considerazioni colme di stimoli nelle diverse direzioni.

 

 

 

Ora chiamo in campo Guido Strazza, nato a Grosseto nel 1922, che vive e lavora a Roma. Ingegnere formazione, pilota, grazie alla poesia entra nell'ambito delle arti prestissimo, a quei tempi il Futurismo in Italia, e fu proprio Marinetti a invitarlo attorno all'aero-pittura.

 

 

 

Si interessa di archeologia, viaggia in Sud America, intraprende un suo dialogo serrato con il segno come portatore di segnale, come luogo del sentire, come via o sentiero in noi ...Le sue lezioni erano ricche di avvertenze, di riflessioni tramite parole estremamente ponderate. Incredibile la sua qualità di linguaggio, la quale corrispondeva al suo insegnare ad entrare nel mondo del segno, come mondo di suoni tessuti simili a sillabe, segni presenti, dove la nostra azione è capirli è sottrarli, per farli essere.

 

 

 

Ecco alcune parole di Guido Strazza, da un suo piccolo testo "Segnare":

 

 

 

...“c'è una così naturale doppiezza nell'essere un segno presenza senza nome e insieme aver nome di qualcos'altro che sta evocando, da dover pensare che non si tratta di un gratuito gioco di parole, ma di una complessa doppia unità di cui proprio la doppiezza è prova palpitante del suo pieno potere di signicare qualcosa. Inniti sono i modi, le sfumature e le possibilità espressive di un segno, ma nel suo farsi non può contare solo la premeditazione di chi lo fa, perché molto avviene al di qua del progetto, come per repentina intuizione che si fa gesto e segno e, subito, sguardo che lo riconosce e interpreta.“...

 

 

 

Non è un foglio bianco in attesa dell'ispirazione, ma unatta rete invisibile, già tutta intessuta delle sue e delle nostre pulsioni a un suo (nostro) ordine tutto da decifrare. Materia e signicati (ecco la fondamentale doppiezza) che troveranno accordo in quella forma di incrociati riconoscimenti e identicazioni che usiamo chiamare opera finita. Ma, fin dal primo istante qualcosa si sta facendo diverso dal previsto. Senzane. Si provoca la materia, questa risponde. Non parla di sé, ma del suo rapporto con noi. Che non è cosa cosi certa e chiara. Un pensiero si fa segno, segno di sé e qualcos'altro ancora.

 

 

 

Arrivo ora a chi risiede in Ticino Massimo Cavalli, nato a Locarno negli anni '30, pittore ed incisore dalla coerenza sbalorditiva, dal '49 studente a Brera a Milano all'Accademia di Belle Arti, si affeziona al naturalismo lombardo, guarda Morandi, per poi abbracciare la luce tutta francese e subito dopo l'informale. Come insegnante era in grado di cogliere al primo sguardo l'intensità dei segni sulla lastra tracciati dai suoi allievi, la loro disposizione nello spazio bianco, perfino la scelta di un formato di carta anziché di un altro.

 

 

 

Torniamo in ambito di formato che si riferisce al foglio, alla sua dimensione e al suo orientamento, che vive già di segni come direbbe Guido Strazza, perché è foglio-foglia, ...è già taglio di mondo parafrasando Gilberto Isella.

 

 

 

Mi riporta a dei ricordi, delle voci ...sulle erbe ai margini delle strade, un foglio crediamo abbia margini, margini che differenziano la forza di ogni segno, a dipendenza se il foglio lo mettiamo verticale o orizzontale, quella memoria delle erbe a volte considerate erbacce sono già presenze di segni, in noi...

 

 

 

Segni di resistenza, disincronia, andamenti diversificati, sforzati ed espressi, colmi di difficoltà ed intensità;

 

 

 

Come quella verità indicibile che toglie il fiato, come strappata resistenza, eppure viva per proprio enunciato vitale, quanto in ognuno di noi. Considerando l'essere un poco strappati dalla natura, dai luoghi e dai propri sogni o desideri...ancora per comprenderci, uno scoiattolo per esempio, ci appare tanto un essere armonico, ed invece è un fascio nervi di paure,freddo e fame. Presenze o assenze, appunto, già segni.

 

 

 

Qui ogni scelta potrebbe già essere in parte espressa, la ricerca come austero mezzo è atto d'ogni procedere, che anticipa la scelta, l'ascolto, ogni processo.

 

 

 

Ora alcune frasi di Massimo Cavalli :

 

 

 

non mi faccio irretire da nessuna forma, l'imprevedibilità dei segni è essenziale.

 

 

 

"Affronto ogni dipinto come se fosse ogni volta la prima volta, non so quando inizio , dove mi condurrà, so che comunque ricerco la tensione massima".

 

 

 

Il segno in questi tre artisti è un dialogo tra crescita e una tensione. Situarsi tra lo spontaneo e l'atto energico, a volte graffiato, perché enunciato, portato davvero fuori da sé... portato all' ascolto e all'attenzione, come continua adesione alle varianti.

 

 

 

Le direzioni generano quasi una lotta, imponendo spesso verticalità e comunque nel contempo una propria arbitrarietà come libertà d'ogni segno. Espresso con strumenti diversi, la punta in punta secca, dove il segno sposta il metallo in superficie e sono le barbe con varianti di presenza a darci poi quella lettura di segno appunto, morbido eppure intenso. Oppure il bulino che toglie con la sua punta a triangolo, estrae nella direzione del segno un ricciolo, come se fosse legno. Ebbene il segno poi porterà sul foglio di carta la presenza del corpo dell'inchiostro che va a riempire il solco, ed è netto e spesso, e vive anche di pressione diversificata dalla massima alla lieve in uscita dalla superficie della lastra.

 

 

 

Sono tecniche dirette, dimentico il punzone a sua volta a cuneo appuntito, crea uno schiaccio e come punto o foro. Li si deposita l'inchiostro, la diversificazioni di tali punti è data dalla forza del martelletto che batte sul punzone che è come un chiodo, oppure dalle punte più fini o spesse...Poi interviene la distanza o vicinanza d'ogni punto battuto...e una inesauribile possibilità di campiture.

 

 

 

Della stessa famiglia è anche la mezza luna o Berceaux, una lamina di diverse grandezze che ha una zigrinatura che genera poggiandola sul metallo e muovendola come dondolandola premendo e ruotando piano piano di direzione, ebbene genera una sorta di graniglia, un tessuto di segno che può avere incroci fino a 16 giri...e raggiungere dei neri di una profondità indicibile.

 

 

 

Poi le tecniche indirette, sono tutte quelle che nell'incisione calcografica usano l'ausilio di acidi, Nitrico o Solfati o sali, comunque vengono morsi e guidati i segni dalle cosiddette morsure.

 

 

 

Vi è stata una rivoluzione nel 600, il segno ha preso molta più libertà, dato che doveva solo spostare una piccola presenza di bitume o preparazione che andava a ricoprire la lastra metallica e veniva poi intaccata dall'acido se resa nuda-visibile a vista...tramite segno il metallo che affiora viene morso...la stessa parola acquaforte parla di questo.

 

 

 

Qui tutto è aperto, la differenza tra spessore o sottigliezze, ripetizione, giustapposizione o interposizione, assunte come linguaggio dell'azione, dai ritmi quasi musicali, segni come suoni sospesi come note che precipitano, ricercano pentagramma... o si generano aprendo o toccando e non necessariamente concludendo forma, sono andamenti lievi, ma non troppo, moti, forti, andanti contenuti, vivaci, ritmati assordanti...segni che si fanno tramite la nostra azione traccia.

 

 

 

In ciò si possono rilevare alcune percepibili differenze tra i tre artisti. Inoltre, se partono con una certa razionalità progettuale e un pensiero nella costruzione spaziale, in modo diverso chi vince è la tensione che diviene essa stessa composizione.

 

 

 

L'interesse per la luce è ricerca di contrasto, un continuo contrappunto tra pieno e vuoto, linea e linea, affermazione o cancellatura, cromatura e buio, è il dubbio che ramifica le sfumature dell'assoluto.

 

Per concludere questo primo viaggio abbracciando i nostri artisti attorno al segno tento alcune brevi considerazioni tra l'incisione che per tutti e tre è diversamente spina dorsale alla pittura, che dà ruolo sostanziale anche al colore, che è anche segno, come gioco forza dalla tensione alla profondità, dalla verità che parte semplicemente dalla lettura tra cielo e terra, alto-basso-gravità, per raggiungere per ognuno la sua astrazione o appartenenza poetica, libertà.

 

 

 

Torniamo all'azione e alla dimensione individuale come volontà e scelta, forse come priorità d'esercizio dell'essere...

 

 

 

Anche i grigi possono divenire colore ed è il generare densità diverse che suggerisce mondi paralleli e torniamo allo spazio e al tempo come consistenza della visione.

 

 

 

Ed è una frase che Massimo Cavalli disse in un suo periodo Romano, ancora giovanissimo, ancora in ricerca di riferimenti, alla ricerca di quali pittori e maestri riconoscere e frequentare per avere quegli scambi che sarebbero linfa per tutti ancora oggi, quando si tende a voler fare dell'arte la propria vita.

 

 

 

Un'altra frase appunto di Massimo Cavalli, pronunciata dopo aver visitato lo studio romano del pittore Mario Mafai:

 

 

 

- tutti questi fiori secchi, questi fiori sono già colori interiori, sono già pittura.-

 

 

 

E qui la forza della qualità del tempo come dimensione anche di decantazione, è maturità, è espressa dai toni dai colori che possono raggiungerli solo i fiori secchi che ritornano all'essere vicini alla terra come quando novizi si sono affacciati al mondo, ma con quel tempo vissuto riconoscibile.

 

 

 

Ora vorrei intraprendere alcune brevissime considerazioni sulla scelta importante e oggi ardita, perché è moda dimenticarsi del passato e della storia, dello ieri, come forza e paradosso, apertura e discussione sempre aperta, per poi cadere nello scontato di un agire mai nuovo.

 

 

 

Della scelta, dicevo, di Carole Haensler direttrice di Villa Dei Cedri a Bellinzona,che sottolinea quanto la ricerca d'ogni artista, se parte dal segno, riconosce la propria entità come senso che sta' nell'affrontare e nell'affrontarsi, recuperare e accorgersi della dimensione della storia dell'Arte come valore forte... direbbe Quirino Principe per la musica.

 

 

 

Ebbene qui potremmo affermare come i nostri tre artisti Hartung, Strazza e Cavalli, hanno sempre guardato e studiato la natura attorno a loro e compreso la storia dell'arte anche come processo del fare, come domanda d'esistenza.

 

 

 

Potremmo avvicinare un Goya ad Hartung per esempio, per comprensione ed adesione alle forze più profonde, ai neri gestiti come diagrammi, leve, danze e brogli d'ogni perseverare.

 

 

 

Un Piranesi a Guido Strazza, per architettonica convivenza tra l'interno e l'esterno tra spazio risparmiato e arginato, condotto reso come fuoco...d'immagine, colmo di tensioni e sorti di prospettive che danno nervo o generano-costruiscono porzioni di spazio.

 

 

 

E un Rembrandt per Massimo Cavalli, sottile nelle rese tutte e ricercatore di materie come corpo e dialogo tra luce esterna e rivelazione psicologica, materie che si compenetravano tra pittura ed incisione ...già allora.

 

 

 

Questo per affermare come potremmo accorgerci di quanto siamo colmi di ciò che l'uomo ha sempre espresso, o trascritto, riportato e visualizzato, per il colore, potrei toccare Piero Della Francesca per Guido Strazza, Un Paolo Uccello o un Tiziano per Massimo Cavalli, un Caravaggio, per Hartung...

 

 

 

Delle tensioni che possono essere affrontate o confrontate nel loro tessuto linguistico e storico, e portate sempre su strade diverse, per raggiungere, o meglio accorgersi d'ogni resistenza in se e fuori di se, per avvalersi della propria verità e quindi della propria adesione al tempo come metafora della storia, della materia affrontata dal gesto, come corpo e spirito, dalla traccia che si è e si fa storia.

 

 

 

Traccia che genera visione, per percorso e appartenenza d'ognuno, al proprio tempo certo, ma anche a quella dimensione profonda che poi segna una via collettiva, uno sfiato, un'area...una traccia delle emozioni come comune valore all'essere, d'essere luogo anche della ragione d'essere e quindi trasportare-tessere anche memoria, unendo natura e storia.

 

 

 

Questo l'arte dovrebbe far avvenire...e nell'avvenire ritorna e rigenera quella pregnanza storica che dovrebbe essere la cultura.

 

 

 

Per poter portare valori tra il mediare e il fare creare-atti-vivi, generati e riconosciuti come luogo d'ogni ricerca del senso agito del nostro vivere anche spirituale.

 

 

 

Loredana Müller ottobre 2016