DOCUMENTARI D'ARTE

 

DI ADRIANO KESTENHOLZ

 

lunedì 22 ottobre 2018

 

 

Carlo Maderno: l’emergenza del barocco:

 

Un itinerario visivo attraverso le principali opere dell’architetto ticinese Carlo Maderno (Capolago 1556 - Roma 1629) nelle quali emerge la trama dell’architettura barocca : la Chiesa di Santa Susanna a Roma, il Palazzo Mattei di Giove, il Portale del Palazzo sul Quirinale, la Porta della Sala dei Corazzieri, la Scala del Casino dell'Aurora Pallavicini, la Cupola della Chiesa di Sant’Andrea della Valle, la Fontana di Scossacavalli, il Teatro dell' Acqua di Villa Aldobrandini a Frascati; la Facciata e le Navate della Basilica di San Pietro in Vaticano. Un contributo alla riscoperta del grande maestro del Borromini.

 

 

Segantiniana:

 

Una rivisitazione videografica

 

del famoso ciclo pittorico che Giovanni Segantini ha dedicato al tema del Castigo delle Lussuriose e delle Cattive Madri, condotta sul filo di un’interpretazione musicale - per soprano, contralto e otto strumenti – scritta dal compositore svizzero Luigi Quadranti su una quartina del poeta Gilberto Isella.Le quattro opere che costituiscono il Ciclo del Nirvana, dipinte da Segantini in Engadina, tra il 1891 e il 1897, sono messe in scena attraverso un’opzione registica di genere installativa. I corpi femminili delle protagoniste, diventano voci e si trasformano in canto. La pittura si fa musica, materia sonora che prende corpo attraverso un dispositivo scenico che combina performance musicale, installazione video e teatro tecnologico. Un universo audio-visivo composto di simulacri, di repliche di rimandi che amplificano in modo combinatorio le valenze semantiche, l’apparato iconografico e i riferimenti simbolici dei dipinti di Segantini, fino a svelarne il lato oscuro, travagliato, inquietante. Il pittore della cerulea luce alpina, della trasparenza dell’aria si rivela un pittore abissale.

 

 

 

 

Adriano Kestenholz ha studiato cinema all’Università di Parigi VIII e Storia dell'Arte all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales a Parigi.

 

Vive in Svizzera italiana. Dal 1987 è attivo come regista e produttore indipendente soprattutto nel campo dei film e video sull’arte effettuando regolari incursioni anche nel campo delle installazioni video.

 

 

 

I suoi lavori sull'arte sono stati presentati in numerosi musei e festival internazionali (Asolo, Atene, Barcellona, Bruxelles, Clérmont-Ferrand, Essen, Hérouville Saint-Clair, Houston, Lisbona, Locarno, Merano, Milano, Monaco, Montréal, Norimberga, Parigi, Roma, Salerno, Salonicco, Trento, Torino).

 

 

 

Ha realizzato diversi film in coproduzione con la RSI Radiotelevisione Svizzera: "La mano senza volto" (1989), "Estatico Barocco" (1994), "Camesi : il teatro dei segni" (1997), "Livio Vacchini : la palestra polivalente di Losone" (2001), "Le geometrie della luce" (2002), "Carlo Maderno : l'emergenza del barocco" (2004), "Mosaici di Piazza Armerina (2005); "Domenico Fontana : ingegnere, architetto, urbanista" (2007), "Segantiniana"(2010) e "Alias Pellegrino Tibaldi: le due anime del Cinquecento (2015). Tra i suoi numerosi lavori sull'arte si possono inoltre ricordare: "La Toilette de Vénus" (1988), "Félix Vallotton" (1988), "Albert Anker" (1989), "Adolfo Feragutti-Visconti" (1991), "René Auberjonois" (1992), "L’isola dei morti" (1996), "Caspar Wolf: le straordinarie vedute delle alpi" (1997), "La collezione" (1998), Edoardo Berta (2000), "Morphing" (2000), "Luigi Rossi: tra realtà e simbolo" (2000), "Video monitor 6" (2000), "Les ombres de Camille Claudel"(2002), "Il sogno delle figure : omaggio a Emilio Tadini" (2005),"Wilfrid Moser: Treppen" (2006), "Villa Saluzzo Serra: la latenza del visibile" (2008)e "Alter Aut Sforzesca" (2015).

 

 

 

Ha realizzato lavori pubblicitari e promozionali. Dal 1995 tiene regolarmente corsi di videocreazione al CISA - Conservatorio di Scienze Audiovisive, Lugano. È stato Fellow in visual arts presso "The Bogliasco Foundation - Centro Studi Ligure per le Arti e le Lettere". Per le edizioni Pagine d'Arte ha curato un'antologia di scritti di Jean Louis Schefer dal titolo Prologhi & florilegio.

 

Come saggista ha collaborato a riviste e a cataloghi di mostre con articoli sulla fotografia, sulla pittura, sul cinema e sulle problematiche dell’immagine digitale. Per il Museo Villa dei Cedri di Bellinzona ha curato le mostre "Videoderive dell'Arte" (2008), "Videoderive dell'Arte_2" (2009) e "Videoderive dell'Arte_3" (2011). È membro dell' AICA - Associazione Internazionale dei Critici d'Arte e Presidente dell'AFAT - Associazione Film Audiovisivi Ticino.

 

Uno Storico dell'arte non troppo tenero per il barocco, Jacopo Burkard, nel  suo Cicerone (1855) scrisse, parlando di Roma e dell'architettura di quel periodo,  questa memoranda frase:

Quella colonia di ticinesi che diede a Roma il suo volto attuale, cioè barocco. Un volto che in un secolo e passa ha sofferto non poche offese e mutilazioni, ma che pur si ritrova girando per le troppe affollate vie romane.

Limitata così crudelmente al Ticino, l'affermazione dello storico basilese potrebbe suonare eccessiva; allargata all'antica diocesi di Como, ai lombardi settentrionali, dei laghi è perfettamente fondata. Il loro afflusso nella Roma tra la fine del cinquecento e il seicento è imponente, a Roma soprattutto si dirige allora la corrente che questa regione sempre e generosamente fornì ai cantieri di mezza Europa:

una folla di muratori, lapicidi, scalpellini e stuccatori che, giovando il talento e la fortuna, diventarono capomastri, architetti o scultori.  ( tratto da  Borromini  di Pietro Bianconi -1967)

 

CARLO MADERNO  come gli zii Fontana avevano avviato lui all'arte, così il Maderno prese a ben volere e a proteggere un suo lontano parente giunto ancora ragazzo a Roma,

operoso come tagliapietre a San Pietro, si tratta di Francesco Borromini.

 

Piccola nota attorno a Giovanni Segantini...

 

Le sue esperienze di vita lo segnano profondamente nell’animo, in particolare la mancanza di affetto materno, tanto che in lui si sviluppa l’ idea che la maternità è missione – compito della donna:

 

“Amai e rispettai sempre la donna in qualunque condizione essa sia, purché abbia viscere di madre”,

diceva, esprimendo la nostalgia per la sua mancanza.

 

Da questa sua convinzione nasce quindi il tema iconografico de Le cattive madri . L’ input alla creazione di quest’opera venne probabilmente all’artista dopo aver letto il testo di Luigi Illica Nirvana, nel quale lo scrittore racconta come le donne che rifiutano la maternità sono sottoposte ad una punizione crudele per essere andate contro la natura stessa della donna sorgente e linfa vitale.

 

 

 

Negli ultimi 24 versi del testo la punizione delle ” lussuriose” è quella di essere condannate a vagare nella tormenta del silenzio, in ” vallea livida per ghiacci eterni/ dove non ramo inverda o fiore sbocci “.

 

Caro Albert (( Grubicy Albert, critico d'arte di Segantini)       fine maggio 1895

 

Ti accludo il Nirvana d'Illica che è magnifico.

Una copia potrai mandarla a quel giornale che riproduce il quadro. Ne potrai mandare una al comitato dell'Esposizione da appendersi di fianco al dipinto, una tenertela è per te e questo originale rimandamelo. Bada alla firma giacché deve passare per Indiano….

tuo G. Segantini ( pag. 116 )

 

L'albero magico e la madre lussuriosa il grande incantesimo di Segantini

 

anche in pittura testi modestissimi hanno ispirato opere importanti. È il caso de Le cattive madri (o Il nirvana delle lussuriose) di Segantini. Rappresenta il culmine della fase simbolista della sua arte. Nei primi dodici anni di attività, Segantini aveva infatti aderito al naturalismo, nel solco verista della tradizione lombarda,e aveva dipinto paesaggi urbani, stamberghe visitate dalla fame e dalla difterite, coltivatori di bachi da seta, contadini, zampognari, pastori, vacche, vitelli, pollame, cavalli e soprattutto pecore. Nella seconda fase, seguendo una traiettoria simile a quella di Giovanni Pascoli, poeta coetaneo e fratello d' anima, abbandonò l' epopea umile della vita rurale e si orientò sulla lirica cosmica. Persa nell' abbacinante vastità di una landa alpina, una donna, bella come una statua di marmo, è impigliata coi capelli ai rami di un albero. Il candore della neve la imbozzola in una gelida solitudine. L' albero è secco, tutto è immobile, cristallizzato. Nessun soccorso in vista: la foresta di alberi scheletriti prosegue sullo sfondo e una chiostra di monti sigilla l' orizzonte. È un mondo rarefatto e spettrale, come sotto un incantesimo maligno. Dal ramo però fiorisce una testa di bimbo. È un albero magico - che racchiude un essere vivente, come il cespuglio di Polidoro o quello che parla a Dante con la voce di Pier delle Vigne. L' albero non è morto come sembra: lo abita un neonato. Con le labbra succhia il seno della donna. Lei si contorce. Il suo corpo ripete la forma altrettanto contorta dell' albero, generando un movimento contrario, un' onda gravida che s' incurva verso sinistra. Segantini aveva vissuto l' infanzia diseredata di un orfano dickensiano - nutrito dall' assistenza pubblica, poi affidato alla sorellastra operaia, vagabondo nei bassifondi di Milano e infine rinchiuso in riformatorio a imparare il mestiere del ciabattino. Ignorava grammatica e sintassi. Ciò non gli impedì di formarsi, col tempo, una cultura letteraria ed estetica e di appassionarsi a Nietzsche e Schopenhauer: la sua massima aspirazione divenne quella di farsi filosofo, profeta e martire (in un autoritratto si dipinse nei panni del Cristo Morto di Mantegna). Ma il vangelo che voleva predicare come messia era quello di un' arte spiritualista, capace di soppiantare la funzione sacra della religione. I letterati apprezzarono la metamorfosi. Nella scrittrice Neera trovò l' interlocutrice ideale, e fu lei a consigliargli di scrivere la sua autobiografia - che dopo la sua morte alimentò la sua leggenda. Segantini, che aveva abbandonato Milano e la corruzione della metropoli per ritirarsi nella purezza delle montagne svizzere (prima in un villaggio dei Grigioni, poi in Engadina), leggeva molto. Rimase folgorato dal poema Pangiavahli, o Nirvana: lo tradusse in due quadri, e poi lo ripropose anche in forma di graffito. Nel 1889 Nirvana fu spacciato come traduzione dell' antica saga vedica di Maironpanda. Ma Segantini lo sapeva frutto dell' inquieto talento di Luigi Illica, più noto come librettista di Mascagni, Giordano e Puccini. Era dedicato alle "male madri". Ora il tema della maternità incalzava da anni Segantini, che aveva saputo trasfigurare la nostalgia della madre dell' orfano in un' ossessione artistica. Uno dei suoi dipinti più celebri, Le due madri, del 1889, stabilisce un sintetico parallelismo fra la madre donna e la madre vacca (una accompagnata dal neonato, l' altra dal vitellino), a significare che quella di dare la vita e prendersi cura della prole è la missione che la natura ha assegnato alla femmina, al di là della specie. Nel Nirvana, invece, si era imbattuto nella sua antagonista: la donna che rifiuta la maternità. Perché infanticida, abortista, o solo malthusiana - come all' epoca si denigrava la donna che usava precauzioni contraccettive per non restare incinta, separando così l' atto sessuale dalla procreazione. Segantini, padre felice di quattro bambini, trovava questa figura perturbante. Il poema narrava nei 24 versi finali la punizione delle "lussuriose", condannate a vagare nella tormenta del silenzio, «in vallea livida per ghiacci eterni/ dove non ramo inverda o fiore sbocci». Il Castigo delle lussuriose, che raffigura questi versi, dipinto nel 1891, fu mostrato all' Esposizione Internazionale di Berlino. Benché il trentino Segantini fosse già apprezzato in Germania e nel Nord Europa, il quadro non piacque: gli si rimproverò di dipingere il fantastico con realismo. Ma il fiasco accrebbe l' interesse di Segantini per il poema, la cui lettura lo trasportava in uno stato di intima inquietudine: attrazione e repulsione si alternavano, confondendolo. Nel 1894 creò il secondo ' pannello ' del dittico - questo. In Italia fu stroncato come «astruseria simbolica», ma a Vienna trovò un ammiratore appassionato nell' imperatore Francesco Giuseppe (e poi negli artisti della Secessione). L' inferno delle lussuriose può infatti trasformarsi in un purgatorio qualora la donna ascolti il richiamo del suo grembo e accetti il ruolo ch' è suo dovere e destino. Ed è questo l' istante che Segantini dipinge: il ramo prende vita, il bimbo succhia il latte, la donna acconsente, la spinta impressa dal corpo libera dall' albero la madre perdonata e redenta. Il poema è detestabile, i versi brutti, la morale reazionaria e per ogni donna crudele. Eppure Le cattive madri è il capolavoro di Segantini. Forse solo la morte precoce a 41 anni gli impedì di crearne un altro, ma tant' è. L' immagine semplificata è di una rara potenza; la pennellata a lunghi filamenti di colore diviso ordisce un tessuto di materia serica come la neve; la costellazione simbolica (la natura, la madre, la luce, l' albero) riscatta la rozzezza della fonte e acquista risonanze universali; l' equilibrio delle proporzioni e degli elementi (la figura, il paesaggio) è perfetto. Inoltre la composizione bilanciata anticipa le sinuosità del liberty: molta art nouveau del ' 900 è già in embrione su questa tela. L' immagine alimenta l' ambiguità che la parola ignora (la donna subisce la maternità o la accetta volentieri?): tace il giudizio e affida il senso all' occhio dello spettatore. Le cattive madri è un quadro da guardare senza sonoro - come un film muto.