ACQUAPOETICA . 2016 di Gilberto Isella
La poesia è flusso. Flusso e intensità della parola dentro il mare delle vicende umane. Una parola genuina, non corrosa dall’uso e dalle consuetudini. Che sorprende, che mira a trasformare ogni vicenda o semplice gesto in ghirlanda di senso e icona della memoria. La poesia, come acqua di fonte, scorre negli interstizi del reale per rigenerarlo. Sottrae il vissuto al contingente e all’effimero, gli dona un’anima, una durata, offrendolo al regno dell’immaginario e dell’utopia. Dalla viva voce dei poeti ascolteremo emozioni, presagi e sogni. Ritroveremo luci e ombre della nostra voce, sarà un invito a conoscere meglio noi stessi.
POETI PER LOREDANA MUELLER E CESARE DE VITA
Cesare De Vita e Loredana Müller presentano il loro lavoro
(Camorino, Areapangeart, 16 maggio 2016)
Repetita juvant si dice giustamente, ma a me non piace ripetermi. Il mio intervento per la presentazione del 14 marzo è ormai pagina scritta. Stasera cambierò prospettiva, parlandovi del lavoro di Loredana e Cesare attraverso la poesia. E a questo scopo convocherò poeti che hanno affrontato tematiche identiche alle loro - la natura e il suo risveglio, il cosmo - che hanno espresso in diversi modi meraviglia o sgomento davanti ai fenomeni della vita. Come il germinare, lo scorrere reale e simbolico della linfa nella vegetazione e nell’uomo stesso.
Carta d’avvio sarà La forza, un celebre componimento di Dylan Thomas, poeta irlandese e tra i maggiori del Novecento. Tutto è già racchiuso nel titolo. Un incipit propulsivo: l’energia che scorre in noi, nelle specie e negli elementi, raggiunge il suo apogeo nel “rosso sangue” per poi declinare in attesa della fine. “Muto, muto, muto”, esclama l’io come un mantra. E lo fa quasi per imprimere maggior sonorità alla propria voce sul punto di estinguersi, quella voce invocante la “fatal quïete” che tanto affascinava il Foscolo. L’esito fatale di cui un umile verme diventa emblema strisciando fuori dalla “tomba dell’amante”. Un umile, fraterno strisciare che ancora porta con sé segni “tortuosi” di vita.
Dylan Thomas
LA FORZA
La forza che nella verde miccia spinge il fiore
Spinge i miei verdi anni; quella che fa scoppiare le radici degli alberi
È la mia distruttrice.
E sono muto a dire alla rosa contorta
Che curva la mia giovinezza la stessa febbre invernale.
La forza che spinge l’acqua tra le rocce
Spinge il mio rosso sangue; quella che prosciuga le correnti allo sbocco
Le mie trasforma in cera.
E sono muto a urlare alle mie vene
Che alla fonte montana succhia la stessa bocca.
La mano che vortica l’acqua nello stagno
Agita sabbie mobili; quella che imbriglia i venti, anche la vela
Del mio sudario regge.
E sono muto a dire all’impiccato
Che la calce del boia è la mia stessa creta.
Dove la fonte sgorga, s’attaccano le labbra del tempo;
L’amore goccia e inturgidisce, ma il sangue che cola addolcirà
Le ferite di lei.
E sono muto a dire alle intemperie
Come il tempo ha scandito un cielo attorno agli astri.
Muto a dire alla tomba dell’amante
Che verso il mio lenzuolo striscia lo stesso tortuoso verme.
*
Il corso degli eventi naturali, secondo il grande poeta latino Lucrezio seguace dell’atomismo democriteo, è governato da Amore, e Amore assume parvenze divine personificandosi in Venere. È dunque alla dea Venere che il poeta chiede ispirazione per intraprendere il celebra poema De rerum natura (Sulla Natura). Ecco un frammento di questa stupenda invocazione lucreziana, che apre il primo libro e spalanca davanti a noi il cosmo intero, sorpreso nel suo incessante moto, nell’incanto di una rinascita.
Lucrezio
INVOCAZIONE A VENERE (traduzione a cura di G.Isella)
Non appena riappare il volto primaverile dei giorni, e torna il soffio fecondo di Zefiro, che per lungo tempo è stato prigioniero, sono per primi gli uccelli dell’aria, o Venere, a testimoniare la tua venuta, colpiti al cuore dalla tua potenza. Poi avanzano i greggi che fremono nei ricchi pascoli e attraversano i torrenti impetuosi. Soggiogata dal tuo fascino e dalla tua bellezza, l’intera natura animata è impaziente di seguirti sulla via dove tu vuoi condurla. Nei mari, sui monti, nei fiumi veloci, tra le fronde abitate dagli uccelli, sul manto erboso dei prati, tu lanci infine nei cuori i dolci dardi dell’amore, instillando in tutti gli esseri l’ardente desiderio di perpetuare la loro specie.
*
Anche il toscano Mario Luzi tratta con dovizia e varietà di toni il tema della natura, spesso indagando il mistero della vita in procinto di risvegliarsi dal sonno invernale. Come in questa strofa di Gemma, un testo della raccolta Primizie d’’inverno pubblicata nella fase culminante della sua attività creativa. Di un risveglio sofferto e senza dubbio problematico si fa carico l’autore. Il vento “soffia nelle ceneri” e l’”uggia” non abbandona l’io poetante. La natura non si concilia con l’idillio, bensì con la fatica, con la trepida attesa. In questo clima più agro che dolce il sintagma “primavera scontrosa” richiama l’ossimorica “scontrosa grazia”, una qualità che Umberto Saba attribuiva alla sua Trieste.
Mario Luzi
GEMMA
(….)
Nei mesi alterni, nella primavera scontrosa
un vento cupo chiama alla fatica
per la notte pioviginosa i semi
e le radici esauste e le ceppaie. È il tempo
che soffia nelle ceneri, ravviva
le faville sopite, dalle antiche
ferite spiccia sangue. Tutt’intorno
gli alberi consueti mettono fiori strani.
Rivedo le mie donne, i miei cari,
tra l’uno e l’altro il tempo, il vento, l’uggia.
*
E ora passiamo al cielo, tema caro ai nostri due artisti. I fusi e le colonnine di Cesare conficcate nella terra tendono al cielo, in uno slancio verticale. Celeste è pure lo spazio della tela di Loredana dedicata a Pasolini. Un cielo, il suo, cosparso di enigmatiche nubi. Enigmatica è infatti la nuvola, perché allo stesso tempo vela e disvela, dentro coordinate visive che oscillano. La nube, dice il teorico dell’arte Hubert Damisch, sprona l’immaginazione, “sovverte ogni gerarchia, ogni distinzione di livelli” .
Sentiamo cosa dice del cielo Giovanni Pascoli, che in un verso di Myricae (“il pensier nostro annega”) si ispira all’Infinito di Leopardi (“Così tra questa/ immensità s’annega il pensier mio”).
Giovanni Pascoli
CUORE E CIELO
Nel cuor dove ogni visïon s’immilla,
e spazio al cielo ed alla terra avanza,
talor si spenge un desiderio, e brilla
una speranza:
come nel cielo, oceano profondo,
dove ascendendo il pensier nostro annega,
tramonta un’Alfa, e pullula dal fondo
cupo un’Omega.
La poesia del Pascoli, si può dire, è un’interrogazione senza sosta della natura e del riverberarsi dei fenomeni naturali nell’animo umano, grazie a un sottile gioco di corrispondenze tra realtà esterna e psiche. Non poteva mancare la meditazione sul germoglio, che il poeta trasforma in un racconto delizioso e arricchito di colori, sorretto dall’allitterazione fonosimbolica (es.“Gialla RuGGine GeRmoglia”). Dall’ambra al verde, dal verde al color dell’uva, quando già si pregusta il vino. E quanta matericità in quegli “ingromma” e “invaia”, quale potenza floematica! Un rito insomma: Alfa e Omega, l’eterno ritorno.
Giovanni Pascoli
GERMOGLIO
La scabra vite che il lichene ingromma
come di gialla ruggine, germoglia:
spuntar vidi una, lucida di gomma,
piccola foglia.
(….)
È del fior d’uva questa ambra che sento
o una lieve traccia di vïole?
dove si vede il grappolo d’argento
splendere al sole?
grappolo verde e pendulo, che invaia
alle prime acque fumide d’agosto,
quando il villano sente sopra l’aia
piovere mosto;
mosto che cupo brontola e tra nere
ombre sospira e canta San Martino,
allor che singultando nel bicchiere
sdrucciola vino;
vino che rosso avanti il focolare
brilla, al fischiare della tramontana,
che giunge come un fragoroso mare
e s’allontana
simile a sogno: quando su le strade
volano foglie cui persegue il cuore
simili a sogno; quando tutto cade,
stingesi, e muore.
Muore? Anche un sogno, che sognai! Germoglia
la scabra vite che il lichene ingromma:
spunta da un nodo una lanosa foglia
molle di gomma.
*
Nell’opera della maturità (vedi Galateo in bosco) Andrea Zanzotto sarà portato a condannare con veemenza il deturpamento della natura per mano dell’uomo. Una natura che - nonostante il sopravvivere in essa di antichi bagliori carichi di fascino – è ridotta a mostruoso caos edilizio o megadiscarica sotto il cielo stellato. Tutto ciò non potrà non riflettersi sul piano linguistico ed espressivo: dissonanze e ibridazioni verbali a non finire.
All’altezza del giovanile Dietro il paesaggio invece - libro ancora pervaso di echi virgiliani - il contatto con l’ambiente naturale è tanto stretto e gratificante che il poeta vorrebbe essere avvolto dal paesaggio come un mantello. Suggestiva e velatamente barocca l’immagine del sole “tranquillo baco di spinosi boschi”.
Andrea Zanzotto
ORMAI
Ormai la primula e il calore
ai piedi e il verde acume del mondo
I tappeti scoperti
le logge vibrate dal vento ed il sole
tranquillo baco di spinosi boschi;
il mio male lontano, la sete distinta
come un’altra vita nel petto
Qui non resta che cingersi intorno il paesaggio
qui volgere le spalle.
In questo madrigale di Torquato Tasso, autore della Gerusalemme Liberata ma anche di delicatissime liriche amorose all’insegna di un sorvegliato manierismo, la natura è còlta nelle sue manifestazioni luminose più intime, anche se qui la circostanza è luttuosa (“segni forse de la tua partita”) . Assistiamo a un metamorfico, ininterrotto scintillare di elementi liquidi, primari. Uno stillicidio di corpuscoli impalpabili che investe l’anima, suscitando interrogativi sulla loro essenza e funzione.
Dedico questa poesia agli squarci di bianco e di luce che spiccano nelle opere di Loredana e Cesare, ma strizzando l’occhio in particolare a quest’ultimo. Capirete il perché leggendo l’ultimo verso.
Qual rugiada o qual pianto
Quai lagrime eran quelle
Che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
E perché seminò la bianca luna
Di cristalline stelle un puro nembo
A l’erba fresca in grembo?
Perché ne l’aria bruna
S’udìan, quasi dolendo, intorno intorno
Gir l’aure insino al giorno?
Fûr segni forse de la tua partita,
Vita de la mia vita?
Pier Luigi Bacchini, deceduto qualche anno fa, è un poeta italiano tardonovecentesco di grande interesse, purtroppo ancora poco conosciuto dal vasto pubblico (al pari, mettiamo, di Bartolo Cattafi). Quasi tutta la sua opera è dedicata ai paesaggi naturali, ai ritmi millenari del cosmo, al trepidare delle forme viventi. Eventi e fenomeni che l’autore indaga e analizza coniugando perizia stilistica a competenza scientifica, fino a comporre uno scenario visivo e verbale sfaccettato e inquieto. Un’inquietudine germinante dalla prosodia, dal versificare ricco di sincopi e produttivi enjambements (es. “E di notte/ è lunare”). Il frammento del poemetto è tratto da Scritture vegetali (1999).
P.L.Bacchini
SUI CALANCHI
Conchiglie sul dirupo,
la collina si sgretola
e le fenditure, e le creste – fanghiglia fine
che tinge le mani. E di notte
è lunare. La luna proietta su uno schermo spettrale
non so più quanti millenni. Forme marine
qui saettavano. Flussi del loro seme, ovuli.
O boccheggiavano. Una
luminescenza sul fondo, che la luna toccava.
Ascolto fiori terrestri ora
ai miei piedi, oltre l’erba sul vuoto.
Arbusti.
Talvolta Bacchini, attratto dal pensiero poetico orientale, si cimenta col genere haiku, che rielabora infondendogli tonalità inedite. Ecco due campioni:
Nei prati si scopre
la punta dell’erba.
La mia ombra cammina
io l’accompagno.
*
Ho unito due papaveri
con uno stelo d’avena.
E due vilucchi
d’un viola azzurro.
Com’è dipinto nel vassoio.
A proposito di Oriente, ho scelto una poesia Zen carica di profonda saggezza, scritta dal grande poeta giapponese contemporaneo Shinkichi Takahashi. Un testo che evoca l’enigma del dio invisibile, un dio per vari aspetti identico all’insondabile Vuoto, ossia quel nulla verso cui l’anima, una volta svuotata di ogni passione, si protende. Ciò almeno secondo il buddhismo Zen. Incontriamo questo dio in un metaforico “fiore di prugno”, anzi nel suo profumo. Perché anche l’Ente ineffabile cede alle seduzioni del terrestre, rispecchiandosi nell’aura fragrante di un fiore.
Takahashi
DEI
Gli dèi sono dovunque:
guerra infuria ancora
fra le tribù Koshi e Izumo.
Il tutto di Tutto, l’Uno
pone fine a ogni distinzione.
I tremila mondi
sono in quel fiore di prugno.
Il profumo è Dio.
E, per concludere, mi permetto di proporvi un mio testo - tratto dalla raccolta Mappe in controluce - che s’interroga proprio sul ciclo della vita ai suoi primordi, partendo dalle minuscole macchie germinali che si liberano dall’oscurità per approdare alla luce. La “brama della volpe antica” allude alla celebre fiaba Alòpex kai staphylé ( La volpe e l’uva) attribuita a Esopo.
Questa poesia è dedicata ai miei due amici artisti festeggiati in Areapangeart.
Gilberto Isella
OLOGRAMMA RISTRETTO
Se in una molecola
si nasconde l’onda anomala
e in un acino solo
la brama della volpe antica,
sia lode al pennello
disposto a tratteggiare
la macchia germinale
che tutto contiene
Possa sempre la vita
che in tenebra albeggia
come mela nel chiuso del seme
produrre su oscura formica
l’ologramma dell’eden
le sue serafiche pene
G i l b e r t o I s e l l a
Camorino, luogo di faglia.
Giovedì 19 novembre 2015 alle ore 19
Marino Cattaneo
"...opterei non tanto per una mia lettura poetica... ma per una riflessione legata
al luogo stesso di Camorino. Il nome composto “Areapangeart", infatti,
contiene Pangea, il continente primordiale da cui deriva la nostra
geologia… Partirei da lì per una breve lettura geologico-territoriale
legata alla nostra esistenza...."...
Dati biografici
Marino Cattaneo, nato nel 1957 a Varese, residente da oltre quarant’anni nella Svizzera italiana a Bioggio (Cantone Ticino, terra di confini). Architetto attivo nell’insegnamento e in ricerche sui luoghi dell’abitare. Coautore, con Prisca Groh, di L’albero fossile e l’albero vivo, Capelli, Mendrisio 2001, e autore di brevi raccolte poetiche non in commercio:Luoghi minimi, Il Salice, Locarno 2011; Appigli, mc, Bioggio 2013; Brughiera, mc, Bioggio 2014.