29 maggio  per Acquapoetica  Gilberto Isella presenta Bernard Vargaftig ADV 1934 -2012                   

 

Figlio di commercianti, Bernard Vargaftig è nato a Nancy nel 1934. Nel 1940, durante l’occupazione tedesca, si rifugia con la famiglia nella regione di Limoges per sottrarsi alle persecuzioni antiebraiche. Pubblicato nelle Lettres Françaises, è uno dei giovani poeti che Aragon segnalerà all’attenzione del pubblico. Dal 1975 ha pubblicato numerose raccolte, oltre a opere in prosa. Ha ottenuto molti premi letterari.

 

Dal 2008 si è stabilito a Avignone, dove è morto il 27 gennaio 2012.

 

Bernard Vargaftig ADV 1934-2012

 

La Véraison (1967)

 

Or je fuyais mon visage

On se détourne ainsi des mots

S’ils ne sont que l’ombre

D’un cri

Nous habitions ce paysage

Furtif comme passe un oiseau

Où chaque geste comble

la vie

 

Comme si ma propre mort

Sur les miens avait calqué

Sa hâte ses mouvements

Ses plis

Je regardais du dehors

Mon pas troué et

Tu le sais je mens

L’oubli

 

Orbe (1980)

 

Et les bêtes qui reculent

L’eau sur les dalles

tout s’émiette la paille

L’air la porte ouverte

la chouette rien q’un trou

et son oeil

Criblé d’épingles

Hurlant au travers de moi

*

Ma tête vole

Interminable

Et mon chapeau qui se balance

ô paysag 

et l’effrayante symétrie

Du silence

Entre mes ongles

 

La Veragione

Talora fuggivo il mio volto

Ci si allontana così dalle parole

Se esse non sono che l’ombra

Di un grido

Abitavamo questo paesaggio

Furtivo come l’uccello che passa

Dove ogni gesto colma

La vita

Come se la mia propria morte

 Sui miei avesse ricalcato

La sua fretta i suoi movimenti

Le sue pieghe

Guardavo da fuori

Il mio passo bucato e

Tu lo sai io mento

L’oblio

 

Orbe

E le bestie che indietreggiano

L’acqua sul lastricato

tutto si sbriciola la paglia

L’aria la porta aperta

la civetta soltanto un buco

e il suo occhio

Crivellato di spilli

Urlando mi attraversa

*

La mia testa vola

Interminabile

E il mio cappello che dondola

oh paesaggio

e la simmetria spaventosa 

Del silenzio

Tra le mie unghie

 

 

Lumière qui siffle (1986)

La houle est si blanche

Si blanche

Quand phrase après phrase

Se lève 

L’oiseau désert

Réel cloué

À nu

Contre la paroi

Ou vitesse (1991)

Un mouvement

La trace du buisson

Un oiseau

Disparaît dans le langage

Orée fraîcheur

Je vacille plus d’ombre

Un pli et le ciel immense

Où que j’aille

Et l’énigme

Et tes seins embrassés comme

Sur les rochers

Ce que je sais de toi

 

Sibili di luce

L’onda è così bianca

Così bianca

Quando frase dopo frase

Si alza 

L’uccello deserto

 Reale inchiodato

A nudo

Contro la parete

O velocità

Un movimento

La traccia del cespuglio

Un uccello

Scompare nel linguaggio

Soglia freschezza

Vacillo niente più ombra

Una piega e il cielo immenso

Ovunque io vada

E l’enigma

E i tuoi seni che abbracciavo

Come sulle scogliere

Ciò che so di te

 

 

TRATTO DA TRASVERSALE BLOG DI ROSA PIERNO

 

Bernard Vargaftig, Io scrivo ciò che è vivere, traduzione e cura di Gilberto Isella (Lugano, ADV Edizione, 2017)

 

 

 

La scrittura, tremore d’infanzia
Un’affermazione perentoria, perfino disarmante come “Io scrivo ciò che è vivere”, espressa dal poeta francese Bernard Vargaftig (Nancy 1934 - Avignone, 2012) non funge da mero involucro mitografico. Va ritenuta piuttosto l’implicito propulsore di senso all’interno di un ininterrotto processo creativo. In sostanza, essa racchiude un’intera poetica. Poiché nulla realmente in Vargaftig è concesso alla spontaneità del vissuto, tutto converge al contrario verso i nodi di incandescente problematicità – sotto la regia dell’Improbabile, come direbbe Bonnefoy – che legano vita a scrittura. Ed è il bruciore pervasivo della nominazione poetica a dettare lo statuto di quei nodi: “Mi brucia il tuo nome/ Le rive le loro frange/(…) Oh parola come/ i tuoi seni la tua lingua”. I nomi – carne animata nonché legame con il suolo e gli elementi primi – finiranno presto per ruotare intorno alla questione dell’origine, all’enigma del venire al mondo. Ma non senza aver prima attraversato le vicende della disseminazione (anche cruenta), della continua perdita e riappropriazione del senso, per strappi, latenze e subitanee epifanie, scalfendo dunque l’atemporale rapporto ‘metafisico’ che la lingua d’uso è solita istituire tra i concetti monolitici di vita e parola. Vale a dire: per Vargaftig la parola, imbevuta di temporalità fino alle radici, vive anche e soprattutto nell’avvertire i propri ineludibili vuoti semantici e nel retrocedere alla dimensione del grido, o all’afasia oscura di sotterranee catabasi: “Ci si allontana così dalle parole/ Se esse non sono che l’ombra/ Di un grido”.
Aveva intuito queste premesse sostanziali Aragon, tenendo a battesimo le prove giovanili di Vargaftig verso la metà degli anni Sessanta: “Amo questo linguaggio sminuzzato come il dolore, una ricchezza di vocabolario che non si fonda sulla parola rara, ma sul rinnovamento di vocaboli simili a quei fiori i cui semi per lungo tempo non hanno germogliato perché le ombre glielo impedivano, e che risorgono dalla terra dopo l’incendio della foresta”. Analogamente al procedere di molti poeti coevi, miranti alla scarnificazione/depurazione del linguaggio (da Du Bouchet a Dupin, Regnaut e Noël), Vargaftig inscrive le pulsioni vitali e autobiografiche non in coordinate chiare e diegeticamente orientate, bensì entro serrati circuiti di valore indiziale: tracce foniche e ritmiche gravitanti intorno a se stesse, in definitiva autoteliche, e tuttavia provviste di vie di fuga capaci di veicolare effetti di reale: vissuti frammentari e allusivi, offerti tramite soli indizi. Rimangono ovviamente insostituibili le vicende del soggetto riemergenti per corsi e ricorsi, come l’infanzia funestata dalla guerra, o l’amore per Bruna. La raccolta Orbe (1980) contiene il paradigma di una siffatta prassi poetica, così come il vettore ‘iniziatico’ che giustifica quella motilità diffusa, circolare o meno – dal grido alla phoné senza soluzioni di continuità - che può farsi di volta in volta tremore, panico, respiro sincopato o altro. Paradigma attivo ovunque nell’opera: “Niente manca al linguaggio/ La violenza che vacillava/ Quel grido nel presentire il tuo nome/ Nessuna rassegnazione”. Anche in occorrenze scarne e formulari, dove il topos dell’impossibile coniunctio alligna : Tremare tenerezza impercettibile/ Le cose/ Non si congiungono mai/ Né i morti faccia a faccia “Né i morti faccia a faccia”, dal momento che non siamo mai veramente “al mondo” (come sosteneva Rimbaud), in modo particolare quando sperimentiamo attraverso la memoria il limen dell’infanzia in quanto foriero di allegorica cecità (“Senza che l’infanzia mi dimentichi/ Quando per riprendersi tutto e le rondini/ E l’accecamento fino alle scogliere/ Sottraggono aria all’immobilità”) e allora ogni appello al congiungersi o allo stare con – il Mitsein bisognoso di luce - non è che un miraggio su fondo oscuro percepito negli intervalli dell’iterato disgiungersi o isolarsi. Scena analoga, forse, a quella che si presenta quando osserviamo con ansia non temperata il moto apparente degli astri, per poi sforzarci invano di trascriverne traiettorie lineari sul planetario. Ed è qui che l’orbitare (e il correlativo auto-orbarsi dello sguardo) hanno valore poetico-euristico esteso. “Orbe”, annota il poeta, “designa lo spazio circoscritto dall’orbita di un pianeta o corpo celeste. Ed è anche un aggettivo: un muro orbo è un muro che non presenta nessuna apertura. […] Ed è infine ogni traiettoria e ogni movimento circolare”.
Tremore e oscillazione (ovvero la sismica dell’anima), riconoscibili di primo acchito nell’allentarsi dei legami sintattici, sono generati dall’esperienza infantile con l’intensità degli stati traumatici, e andranno a delineare un territorio “definitivo, permanente, quello del pericolo, ma anche della salvezza”. Che è per forza di cose anche il luogo originario della poesia, luogo dove il soggetto s’arrischia compiendo simultaneamente l’esperienza della scrittura e dell’innamoramento, l’amore-per-la-scrittura e l’amore-per-la-donna: “L’ossessione della paura il pericolo/ Cosa abbiamo di più immenso//Se non amare nominare e sentire”. Un atto di esorcismo, come valore aggiunto, nei confronti della guerra, abissale generatrice di un’idea di ‘movimento’ che per gli ebrei sotto l’occupazione nazista ha significato soltanto fuga e deportazione, in un sottofondo psichico di terrore. Il ragazzino Bernard, appartenente alla comunità ebraica, non riesce a occultare i suoi persistenti traumi sulla pagina. Tutt’al più li rimodella depistandoli su altri oggetti (la natura, i paesaggi) o li addolcisce grazie all’incontro con la donna amata, cogliendo un’occasione insperata di coniunctio. Ma anche in questa circostanza l’eros può declinarsi solo nell’ordine immaginario di un caotico orbitare, tra capovolte spericolate e perdita d’orientamento, come dentro un allucinante labirinto. Sono le prose di maturità, frammentarie e pervase di ‘ebbra’ angoscia mnestica, raccolte in Nessun segno particolare (2007): “Tuffarmi verso di te, è come se mi elevassi. Che silenzio in me, perfino quando scappa, piomba su di te, c’è solo aria. Quale paura non sfugge alla paura? Ti chiamo con la curva, ti chiamo, questo rovesciamento prende quota. Chiudiamo gli occhi. La curva vola”. Gilberto Isella
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Or je fuyais mon visage/ On se détourne ainsi des mots/ S’ils ne sont que l’ombre/ D’un cri// Nous habitions ce paysage/ Furtif comme passe un oiseau/ Où chaque geste comble/ La vie/ Comme si ma propre mort/ Sur les miens avait calqué/ Sa hâte ses mouvements/ Ses plis// Je regardais du dehors/ Mon pas troué et/ Tu le sais je mens/ L’oubli (La Véraison, 1967)...TRAD. Talora fuggivo il mio volto/ Ci si allontana così dalle parole/ Se esse non sono che l’ombra/ Di un grido/ Abitavamo questo paesaggio/ Furtivo come l’uccello che passa/ Dove ogni gesto colma/ La vita/ Come se la mia propria morte/ Sui miei avesse ricalcato/ La sua fretta i suoi movimenti/ Le sue pieghe/ Guardavo da fuori/ Il mio passo bucato e/ Tu lo sai io mento/ L’oblio
▪Avec la buse d’autrefois/ l’air l’air la/ Déchirure/ effrayante pleine d’enfance/ Table et chaises qui me chevauchent/ Les fougères/ Changées en rats
(Orbe, 1980)... TRAD.Con la poiana d’allora/ l’aria l’aria la/ Lacerazione/ spaventosa colma d’infanzia/ Tavola e sedie che mi cavalcano/ Le felci/ Cambiate in topi
▪Aussi fugace qu’il puisse être/ le vide/ Sous la chaise / et la patte de l’horloge/ Les morts leur mouchoir retourné/ Sans personne/ Comme un langage
...
TRAD. Per quanto fugace possa sembrare/ il vuoto/ Sotto la sedia/ e la zampa dell’orologio/ I morti il loro fazzoletto rovesciato/ Senza nessuno/ Come un linguaggio
▪Rien ne manque au langage/ La violence qui vacillait/ Ce cri dans le pressentiment de ton nom/ Aucune résignation/7 Un silence oublié/ Un goût un souffle pour atteindre/ La pitié que l’immédiateté contemple/ Si inlassablement nue// Sans ombre comme restent/Balancement et gravité/ Dont à l’intérieur de la désolation/ Les montagnes sont éprises (Dans les soulèvements, 1996) ...TRAD. Niente manca al linguaggio/ La violenza che vacillava/ Quel grido nel presentire il tuo nome/ Nessuna rassegnazione// Un silenzio dimenticato/ Un gusto un respiro per raggiungere/ La pietà che l’immediatezza contempla/ Così instancabilmente nuda// Priva di ombra se permangono/ Ondeggiamento e gravità/ Di cui le montagne s’innamorano/ Al centro della desolazione ▪ Rien n’est nié/ Comme la peur qu’il y a est brève/ La soudaineté d’un pli/ Quand le même mur va s’écrouler encore// Où de plus en plus d’enfance/ Emmène-t-il/ À peine inclinés sans être insaisissables/ La promptitude près du remblai// Une obstination l’ailleurs un bruissement/ Dont la blancheur/ Ne répète jamais la détresse/ De n’avoir pas regardé (Trembler comme le souffle tremble, 2005)...TRAD. Nulla è negato/ Se intorno breve è la paura/ Il formarsi improvviso di una piega/ Quando il muro sta di nuovo per crollare// Dove sempre più infanzia/ Porta con sé/ Appena inclinati senza essere imprendibili/ La prontezza davanti a un dislivello// Un’ostinazione l’altrove un bisbiglio/ Il cui candore/ Non rinnova mai lo sconforto/ Per non aver guardato.