È un'edizione della collana Sintomi di Pagine D'Arte, che in prima istanza vorremmo presentarvi questa sera. Nata nel 2017 tra il poeta e critico letterario, nonché traduttore Gilberto Isella ed Enrico Della Torre, pittore ed incisore, la cui mostra è esposta nella sala al primo piano, l’edizione raccoglie alcune istanze intorno alla questione del rapporto tra parola e immagine.

 

 

 

"Materie se non luci" titola il volumetto edito dalla Casa Editrice diretta da Matteo Bianchi.

 

 

 

Vincenzo Guarracino in occasione di una sua recensione, toccava proprio questo punto, affermando:

 

 

 

Trattasi di un poemetto costituito da 21 testi, sintetico " mosaico d'onde sibillino", dedicato esplicitamente all'artista Enrico Della Torre, con la cui opera, in questo particolare caso alcuni disegni in bianco e nero, si istituisce un "dialogo" capace di far emergere imprevedibili contingenze tra disegno e parola, " materie" che sprigionano e si comunicano "luci".

 

 

 

Come interpretare altrimenti le nervose trame geometriche di grafite di Della Torre, su cui si adagiano, quali "geroglifici astrali" e " chiasmi oscuri" del senso, i guizzanti versi di Isella modellandosi come quella "in meridiani e paralleli" con la loro

 

"grafia scalza bianca" e attraversati da un " ombra / con la sua riga bianca", se non sotto il segno di elettive affinità profonde?

 

 

 

Ma tra il poeta Isella e l’artista visivo Della Torre, ben altre sono le collaborazioni. Presentiamo tre esempi di piccoli ma preziosi libri d’artista, di cui uno edito Alla Chiara Fonte di Mauro Valsangiacomo, "Fondamento dell'arco in cielo" e l'altro edito da Pulcinoelefante di Alberto Casiraghj,

 

" La verità" è un curatissimo dialogo fra i collage di Della Torre, riprodotti in versione molto piccola dall'edizioni Triangolo Nero, e  le parole di Gilberto Isella.

 

 

 

 

 

Gilberto Isella "Materie se non luci" con disegni di Enrico Della Torre, Pagine d'Arte, 2017 testo di Rosa Pierno
Assolutamente imperdibile la collana a cui Matteo Bianchi e Carolina Leite hanno dato vita per ospitare tutte le varianti dell'incontro tra immagini e testo! L'ultimo nato è il libro di Gilberto Isella "Materie se non luci" con disegni di Enrico Della Torre, che offre una sorta di disarticolazione interna in cui le tangenze tra testo e immagini vengono offerte in alcuni punti folgoranti, per poi essere riassorbite nella continuità del flusso. Il testo di Isella nasce interamente da una volontà descrittiva che si svolge ad occhi chiusi, osiamo supporre. Inseguendo un moto, linea o punto che sia, il poeta ticinese da lì si diparte per voli imponderabili: sotto il nostro sguardo interiore, attivato dalle parole poetiche, si dispiegano i soli e il fieno di Van Gogh o certi prati in pieno sole di Monet:

Pennello o stupefatta spatola
non placa il giallo impaziente
che mulina tra le spighe

o, ancora, lacerti di mantelli metallici di madonne rinascimentali e poi, magicamente, evento rapidissimo, ecco l'innesco incendiario che illumina il punto di contatto con i disegni di Enrico della Torre, risalenti al 1988:

La forma offre grazie irsute alla materia
ma questa la respinge, già paga di opercoli
già invasa da mostri

Così per uno spleen senza confini
il magma trascina i suoi resti di feltro
in memoria delle spine

Scende stampiglio riderello
sul francobollo di un fluire incredulo

Le parole e le immagini allora rifulgono per quel particolare prezioso processo alchemico che vede due mondi, inaccostabili di fatto, fondersi, come fossero della medesima materia. I disegni di Enrico Della Torre, irriverenti, giocosi, ma totalmente dediti al gioco più serio del mondo: quella verifica del passaggio dal punto alla linea e da molteplici linee alla superficie rivela non solo il suo debito kleeiano, le costruzioni rigorose che riposano alla base delle leggi formali, ma anche il divertito e divertente animismo che trasforma questi personaggi di feltro (per la particolare consistenza della grafite, morbida e spessa) in testimoni leggeri e scanzonati. E la poesia di Isella si metamorfizza al punto da rendersi anch'essa visibile, trasformatasi in segno a sua volta.
Ecco, dunque, che tra immagini e testo ci sono infinite vie per le quali una tangenza si rivela come snodo articolante verità, quasi che le due forme espressive fossero divenute indisgiungibili.

 

 

Versi dedicati a Enrico Della Torre Gilberto Isella

 

Non è difficile avvicinare l’artista Della Torre, persona a prima vista discreta e riservata, ma ci vuole un po’ di tempo per guadagnarsi la sua confidenza. La mia amicizia con Enrico è nata progressivamente e direi da incontri casuali, come capita spesso. Non ricordo quando l’ho visto per la prima volta. Probabilmente in occasione di una mostra alla Villa dei Cedri. Cominciai a frequentarlo grazie a comuni amici, tra Ticino e Valtellina. Penso al bel gruppo di poeti e artisti che si era formato a Tirano, capitanato da Valerio Righini, con i quali avevo cominciato a collaborare. Gli espressi subito ammirazione per la sua opera, lui non conosceva i miei scritti. Penso di avergli dato l’Antologia poetica pubblicata all’inizio del Duemila a Morbegno, sempre in Valtellina. Un momento significativo d’incontro è stata una manifestazione di poeti milanesi in suo onore a Pizzighettone in Bassa Lombardia, suo paese natale. Di lì sarebbero cominciate le collaborazioni, di cui dirò in modo più specifico dopo. Sempre più frequenti gli incontri con lui e la moglie Christa. Nel suo atelier a Milano e in particolare nella sua casa di vacanza a Teglio in Valtellina, dove quasi ogni estate vado a trovarlo con la mia compagna.

Ho sempre lavorato volentieri con gli artisti,e spero di poterlo fare ancora in futuro. Esperienze di forte rilievo, che hanno inciso produttivamente nella mia scrittura poetica. Una poesia che fin dall’inizio si è interrogata su un problema assillante, l’enigma dell’immagine. Alludo alla complessa relazione tra immagine pittorica e immagine poetica. Mi sono sempre chiesto, collaborando con un artista, quale occulto dispositivo contribuisca alla costruzione del senso, tra sistemi espressivi così autonomi e inconciliabili -almeno in superficie - come l’arte visiva e la scrittura. Non trovo risposte teoriche. Posso rilevare questo: artisti diversi tra loro hanno ogni volta sollecitato un filone differente del mio immaginario. Una questione di proiezioni e specularità, se vogliamo. Ed è ciò che conta, perché, a prescindere dalle rispettive opzioni estetiche, occorre entrare in sintonia profonda con l’opera dell’artista. È la condizione di partenza. Non basta affiancare parole e immagini a casaccio, occorre che entrambe cooperino alla produzione di un evento nuovo, il senso di un libro a venire. Ciò che mi ha colpito in primo luogo nell’opera di Enrico è la freschezza e il vitalismo, mai venuti meno nella sua lunga carriera.

Enrico ed io abbiamo creato insieme quattro libretti: Fondamento dell’arco in cielo (2005), Inneschi (2009), il pulcinoelefante la verità (2013) e da ultimo Materie se non luci (2017), ripreso poi con la verità nella raccolta Arepo, uscita quest’anno. Sarò breve nell’evocare le particolarità, i tratti stilistici dell’opera di Enrico che hanno coinvolto in particolare la mia attenzione e un’appassionata curiosità. L’elemento di spicco, quello che conferisce ai lavori di Enrico la loro specifica decantazione, luminosità e purezza – siano essi disegni od olii - è l’appello alle forme prime, indotto da uno sguardo vigilatissimo, geometrico e selettivo a un tempo. Che corrisponde, secondo un logico parallelismo, alla predilezione per le cromìe compatte e patinate. Trattamento del colore, e qui metto in gioco la mia personale sensibilità, che deriva dal costante, magari inconscio riferimento al modello di un arcobaleno ideale, variamente declinato nell’opera. Di qui il mio titolo Fondamento dell’arco in cielo. Si tratta, per essere precisi, di un arco celeste e allo stesso tempo ctonio, ossia coimplicato con la densità della terra (come suggeriscono numerosi titoli), con quel lento vibrare della terra, dove passano le linee-forza, che fa pensare a un autoilluminarsi della materia, e se si vuole, in un’accezione certo non mimetica, della natura. Di qui l’altro mio titolo Materie se non luci.

Ciò che attiene all’universo delle forme e dei colori, in Enrico, non sopporta forti ellissi visive o sfumature protratte. Quando lo sfumato, l’aggrumato o la mezzatinta entra in gioco nell’opera, o addirittura il corpuscolo informale, il brusio dei segni per parafrasare Barthes – diciamo pure l’aggettivo di fianco al sostantivo – tutto questo sarà sempre funzionale all’avventura di precise e nette metamorfosi compositive, alla costruzione di visioni o talvolta abbozzi narrativi, così li vedo io, di impronta fiabesca. Si potrebbe parlare, per Della Torre, di “razionalità magica”. Scrive l’artista: “Quando inizio un quadro, è come se entrassi in un’avventura. Ho delle percezioni, ma lo scontro con la materia le modifica; durante il lavoro prendo coscienza dei limiti […], ho delle intuizioni inattese; il tempo lungo di cui ho bisogno fa maturare la visione che devo generare, che risulta sempre diversa dall’idea di partenza”. Non dubito che, facendo riferimento alla poesia, tali “intuizioni inattese”, tali svolte, equivalgano alle illuminations di Rimbaud. Improvvise intrusioni della memoria infantile nello sguardo, schemi elementari o trasognati di paesaggio, come la strana scala che attraversa un delta nell’olio Delta del 2008, l’inclinazione della forma verso suggestioni naturalistiche, o semplicemente l’epifania dell’invisibile nel visibile, per essere sintetici, a cui allude il leitmotiv del punto nero o cieco nei disegni del libretto Materie. E a proposito di punto o macchia nera voglio leggere il breve testo La verità.

Per il componimento che inaugura Materie se non luci del 1990 mi sono ispirato a un dipinto dal titolo Materie, del 1990, già utilizzato per l’antologia Carte dei poeti. Due forme nere, cagnesche o scimmiesche, s’incontrano, generando un alone biancoazzurro screziato su sfondo azzurro puro. Nella mia poesia ciò viene elaborato in “Per la materia/ è tempo di salpare/ verso l’arbitrario più nascosto”. C’è anche il sottoscala, prelevando il motivo da un’altra opera a olio. Mentre il “gesto dell’imitante” è attribuito alle due forme oscure che, venendo incontro una all’altra provano a imitarsi. Si tratta dell’artista e del poeta? E chi lo sa.

Cito un altro spunto. L’elemento rotatorio dellatorriano, in sé enigmatico come un sole arcaico, e presente in numerose opere tra cui un disegno che mi ha donato l’artista, ha avuto un impatto sulla poesia a p.28. Qui diventa “icona dalle cento porte semoventi”. Dove l’icona, che utilizzo ampiamente in Arepo in contesti diversi, rappresenta nella mia immaginazione il perimetro simbolico del Tutto. Simboleggia il Volto del Cosmo, ciò che vi è rivelato e soprattutto ciò che non vi si rivela. Sennonché, proprio a causa della sua componente invisibile o in ombra, l’icona è destinata a disperdersi, frammentarsi, riverberare spazio e tempo tramite figure oblique. Date queste premesse, non sarà difficile individuare ulteriori punti d’incontro in altre poesie.