TESTO IN SALA DI GIAN FRANCO RAGNO

 

Nell’esposizione odierna i lavori di Loredana Müller e di Deborah Benci Tacchella, in dialogo tra di loro come da tradizione negli. spazi di Areapangeart, hanno la particolarità di partire dalla medesima frazione del giorno, dal momento in cui iniziano a indebolirsi le luci del giorno per dare spazio al notturno, le ore in cui ci si avvia a casa e le ombre si allungano sulle strade e sulle mura del percorso intrapreso.

 

Il loro sguardo cattura - in distinte forme a dipendenza dei mezzi espressivi - le pallide e stanche luci serali, prima che siano ancora visibili le tracce, prima di lasciare il testimone alla notte. Orme, sentieri : in comune alle autrici, ancora, mi sembra di cogliere lo stesso percorso fuori dalle mura di un confine domestico, non lontani ma comunque sconosciuti - quanto basta per ritrovare una dimensione antica, originaria.

 

Per Deborah Benci Tacchella sono gli animali (pecore, mucche) gli ideali tramiti verso una fase atemporale e astorica : essi si muovono in sequenze poetiche, un ritmo di immagini che presto diventa danza. Rimandano a simbologie antiche, a pittura di genere, senza esserlo per taglio e per inquadratura. (E più tardi, nel corso della notte, curioso e furtivo, un gatto appena uscito da un racconto di Edgar Allan Poe compare a controllare il suo invisibile regno).

 

Attraverso tecniche che Loredana Müller ha messo a punto negli anni – rivitalizzandole - assistiamo nelle sue opere alla nascita di una flora di segni, di un universo naturale ed empirico sotto forma di incisioni, carte e stampe.

 

Ogni opera, inoltre, sembra riprodurre la sua stessa essenza nella successiva, avviando una lenta metamorfosi continua, riuscendo così nel difficile intento di rimanere uguale e diversa di sé stessa .

 

Simbolo di tale variazioni è il grillo di rembrandiana memoria (« Il signor Grillo », 2019 – libro di Gilberto Isella), nato ogni giorno dalla stessa lastra.

 

In altre incisioni e calcografie, sembrano affiorare sulla superfice di inchiostro – come una terra o lago scuro, notturno – figure e morfologie di corpi prima in abissi sconosciuti, e venuti a galla inaspettati, come ricordi.

 

Certo : il tempo – citato protagonista del lavoro delle due autrici - consuma superfici, sfiorisce nelle sue forme più eleganti come i fiori nella loro caducità (le « Calle » di Deborah Benci, quasi una dedica a Tina Modotti ed a Robert Mapplethorpe) ma contemporaneamente appare capace di accumulare strati di materia ed esperienze, sovrapponendo – arricchendole – storie, segni ed trasparenze (le « sostanze emotive » della Müller, titolo che suona quasi come una splendida antinomia), formando il nido della nostra esistenza. Due movimenti, di fatto, complementari e compresenti.

 

Ossessionati dal presente, dagli schermi, dal quotidiano, dimentichiamo di far parte di un flusso vitale più ampio, rifuggiamo dalla natura con i suoi ritmi – non seguiamo con cura percorso del giorno, non conosciamo più ciò che ci circonda - terre, vegetali o piante.

Ed è un piccolo delitto perché - appena ne prendiamo coscienza - compare silenziosa un’ inaspettata alleata, senza tirannia bensì con indulgenza, capace di entrare silenziosamente nel destino delle cose. Appunto, la vita.

 

 

Gian Franco Ragno, marzo 2021.