Josef Weiss (Romanshorn, 4 gennaio 1944) è un tipografo, editore e grafico svizzero. Josef Weiss nasce a Romanshorn, una cittadina del Canton Turgovia sul lago di Costanza. Ha trascorso la sua infanzia ad Horn, in Turgovia. Dal 1959 al 1963 inizia la sua formazione come rilegatore in bottega e presso la Schule für Gestaltung St. Gallen (Kunstgewerbliche Abteilung). Amplia i suoi studi professionali a Berna, Salzburg, Augsburg, Brighton, alla Certosa di Pavia e Berlino; successivamente nei primi anni ottanta presso il Centro del bel libro di Ascona con Hugo Peller. Dal 1981 è titolare dell'Atelier Josef Weiss, laboratorio di rilegatura, grafica e letterpress printing. Dal 1989 l’atelier è nel centro storico di Mendrisio. Nel 1971 sposa Giuliana che a tutt’ora collabora con lui per la realizzazione delle sue edizioni. Dal matrimonio nascono due figli: il fotografo svizzero Roger Weiss e Manuel Weiss. Nel 2002 idea una collana editoriale intitolata Dîvân nata dal desiderio di contribuire ad un possibile dialogo tra Occidente ed Oriente, mediante il chiaro riferimento all’intenzione di Johann Wolfgang von Goethe nel suo West-óstliche Dîvân. Al progetto prendono parte poeti, scrittori, artisti e architetti, tra i quali Mario Botta, Gigi Guadagnucci lo scultore svizzero Nag Arnoldi e il premio Nobel per la pace Rigoberta Menchú Tum. La collana è entrata a far parte della collezione della Biblioteca Nazionale Svizzera e la Biblioteca Cantonale di Lugano. Nel 1990 Silvio Berlusconi Editore gli commissiona per la collana Biblioteca dell’Utopia la rilegatura di due titoli: “Elogio della Follia” di Erasmo da Rotterdam e “Utopia” di Thomas More, quest’ultimo viene donato a Juan Carlos I di Spagna in occasione dei Giochi della XXV Olimpiade. Negli anni ’90 realizza la rilegatura di tre libri destinati a Papa Giovanni Paolo II: Mario Luzi "Via Crucis"; Gianfranco Ravasi "Libro di Giobbe" e "Lettere di Paolo". Contemporaneamente, fino ai primi anni 2000, restaura l’intera biblioteca dello scultore svizzero Vincenzo Vela su commissione dell’Ufficio federale della cultura svizzera a Berna.

 

Nel 2000 realizza un’edizione in inglese e italiano di una poesia inedita del premio Nobel per la letteratura, Séamus Heaney. Ha ricevuto diverse menzioni onorevoli e i suoi libri sono stati esposti in diversi musei, tra i quali il MOMA, Museum of Modern Art di New York: The artist and the book in twentieth-century Italy, Museum of Modern Art, New York, 1992 . Nel 2017 ha esposto presso la Biblioteca Comunale Centrale di Milano, (conosciuta come Biblioteca Sormani), con il patrocinio della Confederazione Svizzera e Consolato generale di Svizzera a Milano. Il 29 settembre 2017 si è svolto un incontro presso La casa della poesia di Monza, con l'intervento all'arpa di Vincenzo Zitello, durante il quale è stato proiettato un reportage videografico girato da Davide Ferrari

 

Film Nel 2012 viene girato su di lui il documentario Il libro deve morire per nascere a nuova vita di Lukas Tiberio Klopfenstein che viene presentato al 66° Festival di Locarno.

 

Nel 2016 èè protagonista insieme ad Alberto Casiraghy del film documentario Il fiume ha sempre ragione del regista Silvio Soldini.

 

Il film ha vinto due premi del pubblico al Biografilm Festival 2016: Audience Award - Premio del pubblico al miglior film del Concorso Internazionale; Biografilm Follower Award - Premio dei Biografilm Follower al film più amato

 



 

Collezioni Schweizerische Nationalbibliothek, Bern, Svizzera -Deutsche Nationalbibliothek, Frankfurt, Germania -Deutsche Nationalbibliothek, Leipzig, Germania -Germanisches Nationalmuseum, Nürnberg, Germania-Fondazione Centro studi sull’arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca, Italia - Biblioteca Centrale Nazionale, Firenze, Italia -Fondazione Schlesinger, Castagnola, Svizzera - Biblioteca Cantonale, Lugano, Svizzera -Archivio di Stato, Bellinzona, Svizzera - Nasjonalmuseet, Oslo, Norwegia - Giuseppe Panza di Biumo, Massagno-Lugano, Svizzera -Loriano Bertini, Prato FI, Italia

 

Menzioni Die kantonale Lehrlings Pruefungskommission von Appenzell Ausserrhoden, 1962 Triennale Internazionale de la Reliure, Lausanne, 1983 - Les Arts du livre d'hier a demain 1985/86, Centre des Arts et Loisirs du Vésinet - Premio Internazionale Felice Feliciano, Verona, 1993 - European Bookbindings '93, The Royal Library, Copenaghen

 

Documentari

 

Il fiume ha sempre ragione di Silvio Soldini (2016)

 

Il libro deve morire per nascere a nuova vita di Lukas Tiberio Klopfenstein

 

Josef Weiss Edizioni Mendrisio di Simon Brazzola

 

Sito web

 

www.josefweiss.ch

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'ANIMA DEL SEGNO, Hartung Cavalli Strazza, ottobre 2016 tratto dal testo di Loredana Müller)

 

 

 

Forse potremmo parlare di un' autonomia del segno e nel contempo di una sua grammatica.

 

 

 

Cosa si intende per grammatica del segno, equivale alla struttura, al costruire per generare tramite segno, generare visione? segni come atti, intense-adesioni, tensioni, necessità e svolgimenti, ritmi e costanti che appartengono al vivere, alle emozioni, alla priorità dell'esprimersi (ciò che preme dentro) e nel contempo dare senso direzione e orientamento, forse etico oltre che estetico, valenze poetiche e non solo formali, metalinguistiche, filosofiche nel porre continue domande.

 

Appartengono al vivere i segni come atto umano e come andamento, scelta continua e verifica della direzione intrapresa. Il motivo del tracciare, come ricerca é comprensione, dialogo tra sé e la comunicazione, ma non necessariamente verbale.

 

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Parlare di incisione calcografica vuol dire partire da una matrice di metallo. Di pietra per la litografica . La tecnica più antica d'incisione è quella xilografica, su legno attorno al XIV secolo...e solo nel XV cogliendo strumenti dagli orafi l'incisione su metallo...

 

Per ridurre un poco il campo parlerò di tecniche dirette e indirette, su metallo inizialmente, entrambe entrano in particolare dialogo con la pittura già dal Seicento.

 

Proprio come per la materia e la conoscenza, oltre che dei materiali e della propria volontà di “incidere“ segnare-strutturare e determinare visione, far essere o far nascere un segno per generare un corpo-visivo è dare costruire la visione.

 

 

 

Da non sottovalutare nell'incisione che un poco come la scultura pretende uno svolgimento chiaro e strutturato nel suo attuarsi, e ci aiuta a elaborarne il processo, tra il togliere e il mettere, non sempre possibile. Quanto ci sia di meccanico” o fisico sempre, per intenderla come direbbe Leonardo Da Vinci, vuol dire che chi che abbia in grembo una verità chimica ha già una dimensione analitica.

 

Ancora è questo ascolto, che è incontro tra l'io e la materia, e qui materia sta per ciò che riteniamo conoscibile...che scioglie e qualifica espressione come essenza primaria, emergenza e accadimento, ricercato, voluto solo dopo averlo riconosciuto.

 

 

 

Massimo Cavalli, nato a Locarno negli anni '30, pittore ed incisore dalla coerenza sbalorditiva, dal '49 studente a Brera a Milano all'Accademia di Belle Arti, si affeziona al naturalismo lombardo, guarda Morandi, per poi abbracciare la luce tutta francese e subito dopo l'informale.

 

 

 

Come insegnante era in grado di cogliere al primo sguardo l'intensità dei segni sulla lastra tracciati dai suoi allievi, la loro disposizione nello spazio bianco, perfino la scelta di un formato di carta anziché di un altro.

 

Torniamo in ambito di formato che si riferisce al foglio, alla sua dimensione e al suo orientamento, che vive già di segni è già taglio di mondo parafrasando Gilberto Isella.

 

Mi riporta a dei ricordi, delle voci ...sulle erbe ai margini delle strade, un foglio crediamo abbia margini, margini che differenziano la forza di ogni segno, a dipendenza se il foglio lo mettiamo verticale o orizzontale, quell' erbacce sono già presenze di segni, in noi...

 

Segni di resistenza, disincronia, andamenti diversificati, sforzati ed espressi, colmi di difficoltà ed intensità;

 

Qui ogni scelta potrebbe già essere in parte espressa, la ricerca come austero mezzo è atto d'ogni procedere, che anticipa la scelta, l'ascolto, ogni processo.

 

Ora alcune frasi di Massimo Cavalli :

 

non mi faccio irretire da nessuna forma, l'imprevedibilità dei segni è essenziale“.

 

"Affronto ogni dipinto come se fosse ogni volta la prima volta, non so quando inizio , dove mi condurrà, so che comunque ricerco la tensione massima".

 

Il segno è un dialogo tra crescita e una tensione. Situarsi tra lo spontaneo e l'atto energico, a volte graffiato, perché enunciato, portato davvero fuori da sé... portato all' ascolto e all'attenzione, come continua adesione alle varianti.

 

Le direzioni generano quasi una lotta, imponendo spesso verticalità e comunque nel contempo una propria arbitrarietà come libertà d'ogni segno. Espresso con strumenti diversi, la punta in punta secca, dove il segno sposta il metallo in superficie e sono le barbe con varianti di presenza a darci poi quella lettura di segno appunto, morbido eppure intenso. Oppure il bulino che toglie con la sua punta a triangolo, estrae nella direzione del segno un ricciolo, come se fosse legno. Ebbene il segno poi porterà sul foglio di carta la presenza del corpo dell'inchiostro che va a riempire il solco, ed è netto e spesso, e vive anche di pressione diversificata dalla massima alla lieve in uscita dalla superficie della lastra.

 

Sono tecniche dirette, dimentico il punzone a sua volta a cuneo appuntito, crea uno schiaccio e come punto o foro. Li si deposita l'inchiostro, la diversificazioni di tali punti è data dalla forza del martelletto che batte sul punzone che è come un chiodo, oppure dalle punte più fini o spesse...Poi interviene la distanza o vicinanza d'ogni punto battuto...e una inesauribile possibilità di campiture.

 

Della stessa famiglia è anche la mezza luna o Berceaux, una lamina di diverse grandezze che ha una zigrinatura che genera poggiandola sul metallo e muovendola come dondolandola premendo e ruotando piano piano di direzione, ebbene genera una sorta di graniglia, un tessuto di segno che può avere incroci fino a 16 giri...e raggiungere dei neri di una profondità indicibile.

 

Poi le tecniche indirette, sono tutte quelle che nell'incisione calcografica usano l'ausilio di acidi, Nitrico o Solfati o sali, comunque vengono morsi e guidati i segni dalle cosiddette morsure.

 

Vi è stata una rivoluzione nel 600, il segno ha preso molta più libertà, dato che doveva solo spostare una piccola presenza di bitume o preparazione che andava a ricoprire la lastra metallica e veniva poi intaccata dall'acido se resa nuda-visibile a vista...tramite segno il metallo che affiora viene morso...la stessa parola acquaforte parla di questo.

 

Qui tutto è aperto, la differenza tra spessore o sottigliezze, ripetizione, giustapposizione o interposizione, assunte come linguaggio dell'azione, dai ritmi quasi musicali, segni come suoni sospesi come note che precipitano, ricercano pentagramma... o si generano aprendo o toccando e non necessariamente concludendo forma, sono andamenti lievi, ma non troppo, moti, forti, andanti contenuti, vivaci, ritmati assordanti...segni che si fanno tramite la nostra azione traccia.

 

In ciò si possono rilevare alcune percepibili differenze tra i tre artisti. Inoltre, se partono con una certa razionalità progettuale e un pensiero nella costruzione spaziale, in modo diverso chi vince è la tensione che diviene essa stessa composizione.

 

L'interesse per la luce è ricerca di contrasto, un continuo contrappunto tra pieno e vuoto, linea e linea, affermazione o cancellatura, cromatura e buio, è il dubbio che ramifica le sfumature dell'assoluto.

 

'incisione diversamente spina dorsale alla pittura, che dà ruolo sostanziale anche al colore, che è anche segno, come gioco forza dalla tensione alla profondità, dalla verità che parte semplicemente dalla lettura tra cielo e terra, alto-basso-gravità, per raggiungere per ognuno la sua astrazione o appartenenza poetica, libertà.

 

Torniamo all'azione e alla dimensione individuale come volontà e scelta, forse come priorità d'esercizio dell'essere...

 

Anche i grigi possono divenire colore ed è il generare densità diverse che suggerisce mondi paralleli e torniamo allo spazio e al tempo come consistenza della visione.

 

Ed è una frase che Massimo Cavalli disse in un suo periodo Romano, ancora giovanissimo, ancora in ricerca di riferimenti, alla ricerca di quali pittori e maestri riconoscere e frequentare per avere quegli scambi che sarebbero linfa per tutti ancora oggi, quando si tende a voler fare dell'arte la propria vita.

 

Un'altra frase appunto di Massimo Cavalli, pronunciata dopo aver visitato lo studio romano del pittore Mario Mafai:

 

- tutti questi fiori secchi, questi fiori sono già colori interiori, sono già pittura.-

 

E qui la forza della qualità del tempo come dimensione anche di decantazione, è maturità, è espressa dai toni dai colori che possono raggiungerli solo i fiori secchi che ritornano all'essere vicini alla terra come quando novizi si sono affacciati al mondo, ma con quel tempo vissuto riconoscibile.

 

MASSIMO CAVALLI analitico sintetico tratto da M. Silenzi Centofiorin'11

 

Costruisco combinazioni di linee e di colori su una superficie piatta, per esprimere una bellezza generale con una somma coscienza. La Natura (o ciò che vedo) mi ispira, mi mette, come ogni altro pittore, in uno stato emotivo che mi provoca un’urgenza di fare qualcosa, ma voglio arrivare più vicino possibile alla verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a che non raggiungo le fondamenta (…). Credo sia possibile che, attraverso linee orizzontali e verticali costruite con coscienza, ma non con calcolo, guidate da un’alta intuizione, e create con armonia e ritmo, queste forme basilari di bellezza, aiutate se necessario da altre linee o curve, possano divenire un’opera d’arte, così forte quanto vera.” Piet Mondrian

 

Un percorso coerente. Una progressione fedele, di alto grado meditativo, una capacità di penetrazione ottico-percettiva sorprendente. Un lavoro a togliere, una spoliazione che avanza fino all’elemento ultimo, e poi un sovrapporre, muovere, tirare, dislocare ad libitum ( con libertà), quasi fino ad esaurire le combinazioni possibili. Massimo Cavalli punta il suo intero cammino artistico sull’essenziale, concentra il suo occhio espressivo sulle fondamenta dell’immagine e, dai residui mimetico-materici d’impronta ultimo naturalista, cava masse per via di prosciugamento, risalendo all’armatura che le sostiene, ciò che sta dietro, ciò che sta dentro, risolvendo ogni questione figurativa in una tensione lineare e ritmico-spaziale che ha merito supremo nel tratto, nel segno. Rose, girasoli, rocce, tramonti e figure lasciano velocemente il campo alle strutture vegetali, ai motivi, alle prospettive, alle incidenze, tutti termini che, nelle titolazioni, testimoniano un andare della poetica e dell’attenzione verso l’astrazione, verso l’individuazione dell’ossatura di un’immagine che gradualmente sovrasta il discorso iletico ( realismo segnico-noema segno corpo) per imporsi come sovrana, tesa ad una vigorosa asciuttezza dei mezzi e una bilanciata complessità delle configurazioni, che stupiscono per l’incredibile forza dei tratti e dei profili e per l’eleganza cromatica di alcuni sublimi accostamenti. Né paesaggistico né figurale, e nemmeno anoggettuale apetitivo...alla maniera degli informali, Cavalli ha un occhio acuto che passa ogni sembianza ai raggi x e va diretto all’intelaiatura, a quei profili, agli staccati, ai dati sintetici ravvisabili, a ben guardare, anche nelle pitture più cremose, in quelle fasce larghe di colori giustapposti che agli inizi già sanno esaltarsi a vicenda e puntare ad un valore autonomo, così come nella verticalità di certe altre produzioni che rispondono al richiamo dell’accosto, della sovrapposizione minima eppure elettrica, della vivezza insita che riluce sui fondi scuri, carica di un luminismo raffinato e prezioso, come invetriato. Dunque la misura, l’equilibrio, il ritmo sono gli strumenti con cui l’artista filtra l’immagine e la restituisce a livello di linee, righe, graffi, solchi, fasci, organizzati a chiasmi o in sistemi di parallele, giocando tra il positivo e il negativo, appoggiandosi su

 

componenti e motivi peculiari – come l’elemento circolare semiaperto e concatenato – che sanno tornare a distanza di tempo frutto di evoluzioni metamorfiche le quali, una volta di più, ci mostrano l’accurata, paziente o furiosa analisi di ogni variazione possibile. È chiaro che, nonostante l’artista sia poliedrico ed affronti tutti i mezzi bidimensionali provando ogni medium, questa squisita indole segnica produca capolavori di particolare riuscita nell’arte incisoria. Massimo Cavalli è maestro grafico, le sue acqueforti restituiscono la poesia e la dedizione del lavoro certosino, trasmettendo al contempo un carattere davvero mordente, col vibrato nervoso, la sottile inquietudine, la forza dei solchi diversamente incisi sulle lastre di rame o su quelle di zinco. La sapienza compositiva e lo sguardo allenato alla vista d’insieme lo portano a risultati di grande finezza nelle tecniche miste, dove l’unione con l’acquatinta genera morbidezze impalpabili e sensibilità vicine alla bellezza di certi acquarelli cerulei vagamente malinconici, e dove la puntasecca affonda artigli capaci e caparbi, ricchi di spezzate e saette e sistemi d’aghi tutt’intorno.

 

Una ripresa delle fasce larghe e un’eleganza cupa alla Pierre Soulage, con effetti di rilievo, la troviamo nelle litografie o nei collograph, dentro affascinanti trasparenze nere e liquide in cui è chiaro il lavoro luministico dell’artista ticinese, che non oppone le ombre alle luci, piuttosto ne fa una questione di maggiore o minore visibilità, aprendo varchi o squarciando le peci come muta il cielo dentro un temporale. Ma ci sono anche tinte forti da considerare, rossi vermigli, verdi bruni, ocre e blu oltremare accendono splendide litografie a tre colori, dagli esiti serici e vellutati. Questo disegno analitico-sintetico ha una decisa origine razionale, è frutto di una concentrazione, un’applicazione tale al segno, alle scansioni, alle proporzioni che Cavalli sembra vittima di un assillo interiore, ed è una spinta di caratura cerebrale ma anche emozionale, specie in quei tratteggi veloci (anche nei carboncini) e in quelle nervature che appaiono più istintive, come tagli di lama o impalcature di steli. Ci sono rapporti di forza in tutte le cose: il visibile si presenta secondo diverse vesti ma all’interno è mosso da tensioni che lo animano, che sorreggono, come le particelle elementari, come i fonemi in una frase, come le ossa in un essere umano unite al pensiero che vi scorre in mezzo e produce guizzi, slanci, reti di elettricità. Queste radiografie di Cavalli permettono una visione ed una conoscenza ulteriori, a metà tra la composizione pura e tutti i suoi significati, mostrandoci la vita che pulsa sotto l’ultimo strato di pelle.