La voce e la pagina 

 

I Taccuini dell’artista Enrico Della Torre dialogano con una Campagna ordinata e i boschi che circondano Pizzighettone nel Cremonese (borgo natale), il profilo delle Orobiche osservato da Teglio in Valtellina (soggiorno estivo): panorami che hanno ispirato l’opera di Enrico Della Torre, il celebre pittore e incisore lombardo deceduto l’estate scorsa. Compianto anche nel Ticino: aveva esposto alla Villa dei Cedri, alla Biblioteca dei Frati, a Chiasso e Mendrisio e ad areapangeart a Camorino; coltivava amicizie fraterne nel nostro paese. Salivo spesso a visitarlo a Teglio. Si discuteva d’arte, ma anche d’altro, in particolare di poesia. Rammemorava con affetto, tra gli altri poeti, Vittorio Sereni, con cui aveva realizzato il volume La casa nella poesia. La penultima volta che lo vidi stava preparando il catalogo ragionato dei suoi dipinti a olio. Un sensibile abbassamento della vista lo affliggeva da tempo.

Cercavo di rincuorarlo, rinnovandogli l’ammirazione per quella sua natura trasfigurata e resa fiabesca, dove il tratto realistico d’avvio subisce continue metamorfosi, fino a comporre scenari armoniosi di colori e forme, sfiorando o raggiungendo l’astrazione. Per la capacità, insomma, di portare la figura al suo massimo fulgore: il fiorire, fluire e intersecarsi di territori onirici sotto il controllo di geometrie elementari: triangoli, quadrati, spirali in festa! Bisogna essere

«assolutamente precisi», astenersi dai colpi di pennello superflui, questa la regola che imponeva a sé stesso. Sempre vivi e operanti in lui gli esempi di Cézanne, Klee o Licini. Enrico amava riflettere sul proprio lavoro. Aveva annotato le riflessioni nel libretto Taccuini 19561996 (Campanotto, 1996). Una scrittura tersa e curata, mai esibizionistica. Quel libro rivela, a detta di Vanni Scheiwiller, «il Della Torre più segreto e i suoi grandi amori per la pittura». Vi troviamo sentenze graffianti

(«Per dipingere ci vuole una certa dose di rabbia», «Il pittore è diavolo e angelo, è uccello e serpente»), giudizi su artisti del passato e contemporanei, ma soprattutto considerazioni sul proprio modo d’intendere l’arte: «Non posso fare ameno del vero. Sono un italiano, amo la realtà, anche se la realtà poi la trasformo in sogno pittorico. Non riesco a rinunciare alla luce che rade ogni cosa.

La nostra interiorità è vera se ha la stessa misura tonale della realtà esteriore». Della Torre torna spesso sui paesaggi che gli sono familiari: «Visti sul Po paesaggi brucianti spalancati forti verdi terrosi dolcissimi robusti sobri lineari. Mi sento avvolgere in essi interamente, come sin dalla giovinezza sempre m’inebriava questo paesaggio incantato». Un unico aggettivo, dunque, non

 

sarebbe in grado di definirli. La sensazione di essere avvolto in un macrocosmo virtuale induce il nostro ad «allargare superfici chiare su spazi grandi». Non solo; è necessario che il dipinto, se vuol dispensare energie allo stato puro, accolga risonanze musicali e architettoniche, poiché «la pittura è compagna dell’architettura e della musica». Seppur costantemente inscrivibili in forme geometriche, dimensioni sempre nuove si aprono. Esse ci «aiutano a far vedere l’infinito», dal momento che «l’infinito è la nostra meta». Ciò che conta, in definitiva, è convincersi che «dire sì alla pittura è dire sì alla vita»

I Taccuini di Enrico Della Torre

(e testi di Giacometti e Klee)

 

Ho cenato in Sancto Lorenzo e beuto un poco di greco.

Non che mi paia stare bene, perché ogni tre hore mi viene

lo strugimento” (11.07.1555) “Sabato cenai uno cavolo

buono cotto di mano mia e la notte mi levai una schegia

d’un dente e mangio un poco meglio” (25.10.1555)

Diari di Jacopo da Pontormo

 

Alberto Giacometti

 

Gli oggetti specialmente mi sembrano reali, il bicchiere ad esempio, assai meno precario della mano che lo regge, lo solleva, lo posa di nuovo, scompare. Gli oggetti hanno un’altra consistenza.

Le teste, le persone, non sono che movimento incessante, da dentro, da fuori, si rifanno di continuo, non possiedono una vera consistenza, hanno confini trasparenti. Non sono né cubi, né cilindri, né sfere, né triangoli. Sono una massa in movimento, una forma cangiante e mai del tutto afferrabile. E inoltre sono come vincolate a un punto situato all’interno che ci guarda attraverso gli occhi e che sembra costituire la loro realtà, una realtà non misurabile, collocata entro uno spazio illimitato e che sembra essere altra cosa da quello in cui sta la tazza di fronte a me o che è creato dalla tazza stessa.

Esse non hanno – non più – un colore che sia definibile.

Tutto questo da rivedere.

(1960 circa)

Da Scritti (1990)

 

Paul Klee

 

Rinfrancato dai miei studi sulla natura, potrò osare entrare di nuovo nella mia zona originaria dell’improvvisazione psichica. Vincolato qui solo in modo affatto indiretto a impressioni della natura, potrò ritentare poi di dar forma a ciò che appunto grava sul mio animo, dare rilievo a esperienze che, anche nel buio più fitto, potrebbero trasformarsi in linee.

*

 

Unire in composizione opposti di piccola entità, ma anche opposti rilevanti. Per esempio: contrapporre l’ordine e il caos in modo che ambedue, in gruppi fra sé collegati, l’uno accanto o sopra l’altro, entrino in reciproca relazione; nella relazione fra contrari, attraverso la quale, dall’una e dall’altra parte, i caratteri acquistano rilievo.

 

*

 

All’inizio l’impulso energetico, essenzialmente virile: poi la crescita materiale dell’ovulo. Oppure: prima il lampo balenante nelle nuvole, poi la pioggia

Quando lo spirito è più puro? All’inizio. Là l’opera in divenire, qui l’opera in essere.

 

Da Diari 1898-1918

 

ENRICO DELLA TORRE

 

 

Traspare sul fiume un pizzo di foglie: sono salici verdi che chiedono aria, all’acqua chiarore, al sole la luce. 1956

 

Il verde, il giallo, il blu, non mi interessano in quanto si riferiscono a un paesaggio, ma mi servono per strutturare spazi interiori, architetture.

 

Essere spietatamente severi e precisi, assolutamente precisi. 1959

 

Quando non si pensa alla forma e ci si preoccupa dei contenuti comincia la decadenza. Il problema di tutti i grandi artisti è stato soltanto quello della forma. È la forma che cambia il gusto, il modo di vedere, non i contenuti. 1960

 

La natura è un inganno a volerla descrivere; dire di lei le apparenze e la realtà segreta.

Dire pittura con allucinazione e pietà. 1963

 

Là, lontano, dove le prospettive sono fughe e gli orizzonti sono l’infinito, sugli argini dove si scorge un fiume lento, là ha un senso l’esistenza. 1966

 

Visti sul Po paesaggi brucianti spalancati forti verdi terrosi dolcissimi robusti sobri lineari. Mi sento avvolgere in essi interamente, come sin dalla giovinezza sempre m’inebriava questo paesaggio incantato. 1967

 

La pittura angelica è per gli ebeti. Tutta la pittura è satanica. Il pittore è angelo e diavolo, è uccello e serpente. 1968

 

Riuscirò a unire scienza e arte come facevano Leonardo e Klee? 1970

 

Dischi e rette, rotare e percorrere, cercare con i colori le relazioni tra le cose.

Percorrere la pianura lungo il fiume e accumulare pensieri d’infinito. 1976

 

Dò volto alle sensazioni, mediante il tono, costruendo forse geometriche, poiché credo che il tutto del mondo sia inscrivibile entro forme geometriche. Anche la fantasia la esprimo mediante questo processo naturale. Desidero che il mio lavoro risulti chiaro e semplice come un abc. 1979

 

Bianco e luce si stendono sul pavimento della stanza, ma fuori lontano nella pianura immensa come si effondono meglio, nella libertà dell’aria! Apriti porta, vola via tu, che stai morendo, da questa città casa appartamento non tuoi! 1988

 

Giacometti cerca la verità. Basta colore: usare i bianchi su fondo bianco, e i neri.

1993

 

Contraddirsi: sapere nulla del grande caos e del mondo costruito; dubitare, sbagliare; è umano, mi sembra. Con ciò non chiedo giustificazioni; tutto si paga. 1996

 

 

Da Taccuini 1956-1996.