Abstract della conferenza Daniele Benci
Il numinoso tra forme e colori
Forme e colori, albe e tramonti, opere d’arte, musiche, sculture e poetica, al pari di stelle, nebulose, pianeti, luce e ombra, abbelliscono l’Universo e assicurano ordine e armonia agli occhi di chi lo contempla. Il Kosmos, opposto al Kaos da cui sorge e da cui si trae il termine moderno “cosmesi”, è quindi il suo stesso ordine e il suo stesso ornamento, laddove le galassie e gli astri, incluso il pianeta che abitiamo, rappresentano i gioielli che impreziosiscono il creato, incantano le creature che vi sono gettate e alimentano il senso dell’esistere.
Contrariamente al mondo greco che tributava anch’esso credito al divino, l’era cristiana concepisce l’universo e la natura come creati da Dio per l’uomo in modo da rendergli ossequio e obbedienza. Parimenti il rapporto fra Dio e gli uomini è mediato dalla percezione del Sacro e del Numinoso al di là della fede e al di sopra della mera fenomenologia: prima come infuse declinazioni di mistero, stupore e istinto di trascendenza, poi in quelle di soggezione e di abbandono totale di sé all’Anima Mundi che fora la realtà sensibile e infine la scavalca con la creazione di immagini, forme, parole e suoni per mezzo delle arti e dello stesso spirito dell’artista.
Un’alternanza di cadute nella materia e di elevazioni. Un’entrare in materia, sporcarsi le mani con lo scopo di conoscere e di elevarsi.
“Nati non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” (D. Alighieri; Inferno, Canto XXVI).
Così il Numinoso, da originario cenno del “capo divino” che annuisce e manifesta la sua volontà indicando all’uomo la Via, si concreta nella predilezione a manifestarsi attraverso l’incarnazione sensoriale in forme, colori, parvenze e commedie, alti e bassi, immagini, suoni e verbo. E ancora in evanescenti o persistenti sensazioni e odori, in ineffabile bellezza poetica, nel ricordo di un sonno, di un crepuscolo e di un risveglio sia nella soavità dell’ascesi come nella brutalità dell’estasi. Infine si tramuta in quel rapimento, non di rado indicibile e indiscutibile, che rimpicciolisce l’IO e la sua tracotanza (hybris) senza trucidarli, rendendoli partecipi di una dimensione più vasta.
All’uomo religioso o ateo che soffre la tensione di innalzarsi dal suo mero stato materiale e volgare e che lotta contro l’oblio che la sua condizione di mortale infine gli impone, non resta dunque che la ricerca costante del contatto col divino attraverso le forme e le immagini del sacro poiché, lo si voglia o meno, ogni autentica, spontanea o coltivata forma d’arte figurativa o astratta, ogni danza libera o ritualizzata e ogni canto o grido di gioia o di dolore vi si riferisce e vi si posa senza appello. Perché questa ricerca? Perché la sua stessa natura è dettata da una comune radice irrazionale e caotica che pretende prima ascolto e dedizione, poi ragionamento.
“Bisogna avere in sé un Caos per partorire una stella danzante”. (F. Nietzsche; Così parlò Zarathustra)
L’arte, la mistica e l’estasi appaiono quindi come gli strumenti di approccio al divino qualunque cosa sia e qualunque cosa intendiamo con esso.
E se “La trama nascosta è più forte di quella visibile” (Eraclito; DK, fr. 27) e “Nascimento ama nascondersi”( Eraclito; DK, fr. 123), ciò che l’artista si lascia sfuggire dalle dita e dalla bocca per mano di un processo di “rinuncia a sé” e nel contempo di “faticosa esaltazione di sé”, corrisponde ad altro frammento guida dell’Oscuro: “Tentai di decifrare me stesso” (Eraclito; DK, fr. 101).