Trasparenza- Trascendenza - Arepangeart 15-04.2024 di Gilberto Isella

 

 

 

La luce inonda il pensiero, edifica la mano. Dona trasparenza e illuminandoci e-duca, ossia ci conduce fuori dall’opacità del reale. Il grande filosofo Plotino insegna che nel mondo delle idee tutti gli enti vivono in trasparenza reciproca. Platone invitava gli uomini prigionieri nella caverna invasa dalle ombre, ad uscirne e affrontare la luce della conoscenza, per poi abbordare l’iperuranio. Ma l’officina dell’arte già anticipa questo sforzo di emancipare l’anima, e, insieme all’anima, l’oggetto della percezione comune. E in tal modo agisce, esercitando la manipolazione delle forme e dei colori. L’artista si interroga sulla dialettica di chiaro e oscuro, di luce e ombra, alle prese con materiali informi eppure in sé tutti pregevoli, che daranno vita all’opera. Intuisce che la trascendenza è già inscritta nell’immanenza, ossia nell’alveo terreno di essa. Scopre così uno stato in divenire, vivificato da quel bisogno d’astrarre teso a superare i condizionamenti della mimesis.

Un’esperienza che si risolverà in apertura incondizionata verso l’essere, verso l’idealità di figure impregnate di elementi primari. Astrarre significa, nel senso più profondo, perseguire la luce dell’alto, pur con le difficoltà che incombono su tale processo. Significa in definitiva tentare una ascensio venata di misticismo laico, e simultaneamente nutrita da quella carica emozionale che dovrebbe sempre accompagnare la ricerca della bellezza. Sono le emozioni che proviamo a nostra volta davanti alle opere esposte di Loredana Müller, Giulia Napoleone e Antonio Tabet, frutto di un dialogo a distanza e, ciò che conta, del sentimento di un obiettivo condiviso. Il telos, l’obiettivo, non è altro che il trans- apparire, in altre parole la fos (in greco luce) che in forme diverse verrà catturata dalla rappresentazione: foto-grafia dell’essere in tutte le sue declinazioni creative.

 

Non sorprenderà gli ammiratori di Giulia, il fatto che nei suoi acquarelli su carta l’artista riproponga stesure di puro azzurro evocanti il cielo. Una superficie unitaria in cui riscontriamo il primato della luce e della trascendenza, una tensione spirituale che supponiamo esplicita, ma non per questo incondizionata. La stessa monocromia ricorrente conosce al suo interno un variare d’intensità, indotto per così dire dallo scorrere del tempo. Inoltre essa vive, nel proprio manifestarsi, di ritmi e pulsazioni che la immunizzano dalla staticità. Talvolta solo accennati pixel, ma che hanno configurazione iterativa, più sovente sottili ma ordinatissime trame e griglie o increspature che creano un ritmo interno a questo virtuale planisfero. In un caso significativo vediamo rilucere piccole stelle ai margini, quasi vibrazioni armoniche di un suono esteso. Un ritmo, una cadenza, ma anche un quoziente di razionalità geometrica tale da disciplinare in un certo modo l’ex-statis, renderla compatibile con le logiche del piano cartesiano. Fors’anche, nell’insieme, un tremolare percepibile già fuori campo. Come in questi versi del Purgatorio dantesco: “L’alba vinceva l’ora mattutina/ che fuggia innanzi, sì che di lontano/ conobbi il tremolar de la marina”. Talune diagonali di Giulia, fanno pensare in effetti a onde, a onde laminate, e per finire a un cielo che si rispecchia nel mare, e ne fa un tutt’uno. “Orizzonte infinito”, insomma, idealmente privo di margini.

 

Diversa poiché tendenzialmente tridimensionale, in ogni modo articolata al filo conduttore della mostra, è l’opera di Antonio. In essa predomina l’esprit de géometrie evocato da Pascal, ma questo mai prevarica sull’esprit de finesse, un termine creato dallo stesso filosofo francese in contrasto con il primo. Qui è la geometria a glorificare la luce, e non il contrario. Anche nel caso in cui, fuori e dentro, profili colorati sembrano assumere un ruolo di linee-forza nell’impianto. Alcuni titoli mostrano una sorta di simbiosi in evoluzione: “Da cono nasce cono”, “Goccia geometrica” o “Sfere unite”. Un insieme di lavori che si accostano con libertà all’arte cinetica, la quale, come sappiamo, nacque per indagare i meccanismi della visione e la dinamica dei fenomeni ottici. A seconda della distanza che teniamo verso le opere, cambia infatti la prospettiva dello sguardo, e l’opera sembra fluttuare a seconda del punto di vista dell’osservatore. Ciò che da vicino pareva bidimensionale acquista una terza dimensione, e indubbiamente una quarta, considerando la temporalità che irrompe nell’occhio. Troviamo forme duplicate, nel loro specchiarsi l’un l’altra, come le sfere o il doppio cono verdazzurro disposto in guisa di clessidra. All’interno del plexiglass, ossia di un materiale ‘trasmettitore’ in se stesso, le rifrazioni cromatiche fluidificano i bordi, creano vuoti, mentre la luce si espande e vagabonda tra le lastrine e i supporti.

 

 

E ora vengo agli inchiostri di Loredana. Il progetto di Loredana muove, come sempre, da un’appassionante presa in carico dei segnali e dei valori archetipici della terra. Un’eredità di Pangea forse, quella matrice originaria che come sfinge appare e riappare nelle opere sotto forma di figure iridescenti e mutevoli, irrorate dal sogno. La trasparenza è per così dire già insita nelle configurazioni che la natura offre allo sguardo: una flora arcaica talora, dominata da crittogame, dove miceli si coniugano a licheni e altro, per dar vita a entità filiformi, come fili d’inchiostro appunto che si raggruppano in cerchi di fattezze quasi minerali, astri in miniatura, parvenze di cicli cosmici. Kandinski già vedeva nel cerchio un legame con il cosmico. O anche, per un approccio ispirato, sezioni di tronchi, fantasmagoriche radiografie di gocce. Entità pronte a trasfigurarsi di nuovo, nel segno della sublimazione lirica e della leggerezza, fino a fuoriuscire dal contingente, volgere alle zone alte. L’inchiostro intitolato “Piccolo firmamento” varrebbe da programma. Ma non tutto è luce qui: i cieli incontrano la notte, accolgono eclissi, l’astro trova il suo doppio in cromi d’ombra. Loredana ci avverte che i cicli vitali non sono al riparo dall’oscuro, proprio per la loro natura ciclica. Lo lascia intendere appoggiandosi a curve e vortici sul piano geometrico, o accogliendo nei substrati materici la fuliggine e il carbone, pur senza incrinare l’armonia dell’insieme, il trasparire.