Poesie inedite di Osvaldo Coluccino 

 

di Gilberto Isella

 

 

 

 Quella di Osvaldo Coluccino è una scrittura poetica tra le più radicali e stilisticamente elaborate nel panorama italiano contemporaneo. Dove la logica dell’assenza, fungendo da catalizzatore, tocca in primo luogo il soggetto dell’enunciazione. Un soggetto scrivente dislocato o addirittura evaporato, a tutto vantaggio del testo offerto nella sua purezza essenziale, libero da interferenze da parte dell’ io empirico. Una poesia di parole, per definirla con tratti sommari, non di cose o persone nell’accezione corrente. Qui il linguaggio, grazie alla sua potenza combinatoria e pervasivamente evocativa, ha la priorità assoluta. Togliendo potere all’enunciatore empirico, il tessuto verbale si fa sguardo incondizionato, che non disdegna dinamiche proprie. Operatore di continue metamorfosi, lo sguardo colucciniano inclina verso le sue radici profonde, per poi rivolgersi al cielo. Ecco un esempio tratto dalla poesia Ai piedi degli abeti, fine anni ottanta.

 

 

Monticelli d'emigrati sguardi

A piedi degli abetii si accucciavano

[…] Fluivano sino all’ade

Le radici, ed essi [vale a dire gli sguardi] le coglievano a scorrere

E inabissarsi catafratte, ora, vulnerabili,

Riaffiorare per un tratto, e sino a ai rami

Alti propagarsi quale muta al cielo.

 

 

Un paradigma prende dunque piede. Quanto alla condizione di assenza, basti citare pochi versi della suite inedita Invito alla Terra. L’assenza, qui non disgiungibile dall’essenza, che fa anzi un tutt’uno con questa, possiede una sua punteggiatura visibile e gode inoltre di uno statuto (spessore) organico stimolatore di sensazioni, annunciandosi come madre-matrice di fenomeni puntuali: “Riveduti a rade bande sul vetro i raggi,/ Calde, a ritentare, sciorinate assenze/ E, soggiunto arredo riflesso, il bene fuori”. Assenze-essenze da declinare in un impiego vasto e articolato, per via dei riflessi che esse emanano o sciorinano riversandoli sui diversi occorrimenti percettivi. Assenze-essenze, insomma, che debordano dalla propria autonominazione astratta. Che corrispondono, come suggerisce un verso di valore sintetico teso alla definizione di un preciso campo mitico-semantico, a “numinose presenze esterne”. Si mediti anche su quegli enunciati segnaletici, nella suite Caducità, dove l’assenza si dà per epifanie tortuose e tormentate, tanto da poterne evincere le valenze problematiche:

 

 

 Com’è in basso,

In mappe d’empirei omesso,

L’incorporeo di nuvole, e anche,

Arrotondando comignoli,

Come s’impasta, tinteggia.

E sull’albero, ove,

Prospettive nuove, ripara,

Per i protesi alle estremità

[…]

 

In base a tali postulati, il progetto poetico di Coluccino esclude la tensione verso il nulla, concentrandosì piuttosto sulla movimentazione della parola verso un reticolo di soglie indizianti la realtà sensibile, sebbene concepita nell’ordine del margine o del fantasma. E ciò avviene attraverso un laborioso processo metonimico, o per arditi salti ellittici, entro una frammentazione continua degli oggetti dotata nondimeno di un presumibile filo conduttore. Otterremo così un arredo metamorfico di sembianze che avviluppano le supposte “mappe d’empirei” o il nebuloso “incorporeo”, coinvolgendo il mondo di fuori dunque, in una ridda cifrata di visioni, o meglio di captazioni sinestesiche, dove la vista si intreccia all’udito e indubbiamente anche all’olfatto.

 

Ne colgo blasoni dentro la suite Essenza della montagna:

 

[…] il ludo sospeso fra

Ammontati rami, fermentati e lesti

A intrecciare fragranze quanto

Alacri voci, nell’attimo intesi

Operare con bando, sospiri.

 

O ancora, di seguito:

 

Il volatile adagio si aggira

Sui bui olezzi e s’arrovella, per intendere,

Frale, tanto fine con mira cui salgono.

 

 

Da notare, per inciso, la marca stilistica “frale” (ossia fragile) rovesciarsi poco dopo nel sintagma “Fra leggi di roveti e attese”. Disseminazioni del genere, basate sullo slittamento creativo dei significanti, se ne trovano parecchie in altre occorrenze testuali. E pour cause.

Ciò che conta è in ogni modo l’allestimento di “prospettive nuove” regolate sull’asse spaziotemporale da indicatori differenziali concernenti il il qui e il là, il sopra e il sotto, l’immanenza e il suo oltre – un po’ come succede con l’imene in Jacques Derrida – tuttavia capaci, malgrado la loro propensione ad astrarre, di sollecitare i sensi primari, di ricondurre il lettore all’ipotetico magma referenziale, nella sua presumibile solidità. A testimoniare lo stato di sospensione e la tendenza al differimento provvede anche quel moto alare allusivamente ‘angelicato’ (“Chi posò premendo in danza l’ala”) che avvicina distanziando, che differisce avvicinando. Una sorta di occhio vigile desunto dall’alto, l’ala, che, una volta avvistato il giusto punto di fuga, ripartisce gli effetti del suo agire, tramite sottilissimi passaggi metonimici, su ventagli, velami, vaporosi ponti, scialli, con ammicchi più o meno diretti, quanto agli oggetti scelti, all’immaginario di Mallarmé. Siamo al contempo consapevoli che nell’hic et nunc si profilano – creando contrasti con gli elementi incorporei - le poco inebrianti paratie del solido: “Saldo quel quadretto ameno”, solidi anche il portone e la lanterna.

Scenario prevalente, in gran parte delle raccolte, è la natura. Una natura che, come nella poesia Ai piedi degli abeti, (fine anni Ottanta) esprime “armonia di spersi astri”, ma nello stesso tempo mette in scena la propria caducità :

 

 

Piaceva alle foglie che ne sfioravi

Liberare la vita, dispiegare il dorso

Offerto al sole, ma, lanciandosi

Al suolo, in un istante, morire.

 

La caducità è ampiamente focalizzata nell’omonimo folto testo, Caducità appunto, ricco di topologie mutevoli. L’accavallamento di stati eterogenei, la densità fluttuante degli oggetti o il loro frantumarsi favoriscono per giunta l’indeterminatezza del senso. Nei versi: “Ma è saldo il senso ignoto/ Di quel vaporoso ponte/ sulla casa solida?”, ad esempio, la domanda sembra ipotizzare il senso come un mero bisticcio verbale, o addirittura lo pone sotto una cappa velatamente ossimorica.

 

Il libro d’artista Essenze, assenze è un’opera creata con l’artista Giulia Napoleone nel 2022. Anche qui la dimensione dell’assenza-essenza costituisce il perno del discorso, come sottolinea del resto una nota critica redatta per l’opera: “Le loro sensibilità [ossia di Giulia e Osvaldo] hanno la naturale tendenza a distillare essenze dal variegato, illusorio, aspetto”. Ci troviamo, in senso lato, nell’ottica del mito platonico della caverna: dove le idee sublimi si confrontano con le loro ingannevoli imitazioni sensibili. Da rilevare, in funzione di cardine tematico, il verso “Da luce assente già incarnata”(nella suite Unione con le assenze), che rispecchia con toni diversi l’opposizione alto-basso, in tutte le sue modulazioni semantiche, offerta nella prima strofa di Essenza della montagna. Al mito platonico occhieggia, ma per frante anàmnesi, quasi ai margini della decostruzione, l’intero corpo di questo poemetto, magari nella stretta di un distico: “Saprà schiudere la mia lassa grotta/ Riposta nello splendore inferito?”. Al quale risponde, con significato inequivocabile, la terzina: “Alle falde del monte lasciata,/ Ove morì, l’ala, il fossile che,/ Ai pesi negato, s’infisse”.

Se il fossile convoca un’idea di morte, il processo decostruttivo che lo supporta dev’essere preso però con cautela. Poiché l’istanza della scomparsa, al termine di questo viaggio investigativo, si riscatterà in una rinascita immaginaria nel passato più lontano: “Ritornando verso quel suo ambiente antico”, si legge nel pannello conclusivo del poema, dal titolo Il viaggio di ritorno. Un viaggio a ritroso compiuto “su proibitive tracce”, e perciò in nessun modo nostalgico, di sapore squisitamente moderno anzi e nel segno del disincanto e del mal d’esistere, ma ambientato pur sempre in una cornice temporale posta sotto il dominio del numinoso. Senonché il numinoso, così in Coluccino come in Hölderlin o nel Rilke dei Sonetti a Orfeo, è tenuto a rispettare canoni espressivi adeguati, a loro volta improntati all’antico. Sa di portare con sé una genealogia.

Occorre allora un lessico di registro tendenzialmente alto, così come un assetto sintattico armonioso e regolato da simmetrie, ispirato alla classicità. “Ritorno di un fluire antico, immobile”, si legge in La rinuncia. Un solo esempio, per concludere. Si tratta della strofa inaugurale della poesia Il viaggio di ritorno:

 

Conserva, lana ostile, il viaggio addosso.

Tutto, onerosa cassa di dovizie,

Porta, sul suo fondo e al derma,

Somatica malattia d’esistere.

 

Ma cosa c’è di più contemporaneo del mal d’esistere?

 

 

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